Toh!!! La Borsa di Borsellino c’è, ma manca sempre l’agenda!
- oposservatoriopoli
- 21 lug
- Tempo di lettura: 7 min
La borsa che il giudice Paolo Borsellino aveva con sé il giorno della strage di Via D'Amelio è stata esposta in una teca presso il Palazzo Montecitorio, sede della Camera dei Deputati, durante una cerimonia alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, di fatto, primo magistrato d’Italia e per diritto costituzionale, presidente del CSM.
La cerimonia, che si è tenuta nel Transatlantico della Camera, ha visto gli interventi di diverse figure istituzionali.
Sono intervenuti anche i figli di Borsellino e Chiara Colosimo, Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia.
La borsa è stata esposta come simbolo della lotta alla mafia e dell'impegno di Borsellino per la legalità.
La borsa, che il giudice portava con sé il 19 luglio 1992, è stata collocata in una teca appositamente creata per l'occasione e resa disponibile per la visione del pubblico.
La cerimonia ha sottolineato il valore della memoria e l'importanza di non dimenticare l'eredità di Borsellino e degli altri servitori dello Stato che hanno combattuto contro la mafia.
Però... c’è sempre un però!
Un rifugio plastico per un silenzio autentico: perché questa “commedia” al popolo non basta più.
Il 30 giugno 2025, nel Transatlantico della Camera dei Deputati, è avvenuta l’ennesima ritualità istituzionale, la borsa, infatti, è stata celebrata come “emblema della costante ricerca della verità.”
Ma chi la cerca questa verità?
Chi l’ha cercata realmente dal 1992?
Chi cazzo l’ha sapientemente evitata da allora?
Sul piano simbolico l’esposizione ha una grande forza...
Avoja se ce l’ha!
Ma, a quarant’anni da quella tragedia, è lecito chiedersi: che senso ha questa operazione se non accompagna un vero atto di responsabilità?
Nel silenzio delle istituzioni c’è una sola verità: quella negata!
La borsa di Borsellino, si dice, contenesse l’“agenda rossa” scomparsa dopo l’attentato - un documento che, stando alle parole di Carmelo Canale: “contiene elementi cruciali” per comprendere la trattativa Stato-mafia.
Ma, mentre celebriamo quel vuoto, le domande rimangono insufficientemente affrontate: da chi - e perché - l’agenda è stata portata via?
Sequestrata, sottratta o rubata?
Quali verità sono rimaste nell’ombra?
L’esposizione rischia di diventare un surrogato - una memoria scientificamente pulita e istituzionale, priva del peso delle responsabilità.
Una magistrale operazione d’immagine, non di giustizia!
Una teca, qualche discorso, e poi via…
La borsa resterà in mostra fino al 30 ottobre, promessa e basta.
E dopo?
Forse finirà nella Commissione Antimafia, forse, ma senza un impegno concreto alla restituzione dell’agenda - che ancora oggi resta dispersa - o all’avvio di una commissione d’inchiesta vera e propria.
L’esposizione è un omaggio statale, certo, ma un omaggio che appare più utile alla legittimazione pubblica di chi lo celebra che alla memoria di chi è caduto.
Sullo sfondo, l’assenza di pentimento e di autocritica.
Gli attuali presidenti del Consiglio, i Presidenti di Camera e Senato non hanno responsabilità per i silenzi e i ritardi istituzionali del passato e chi si chiede, dove sono quelli che erano in servizio, al potere, che sedevano sulle comode poltrone del comando di allora?
Alcuni di loro ancora oggi insistono in posizioni apicali dello Stato ma nessuno li disturba, nessuno bussa alle loro porte, perché?
O sanno troppo oppure hanno fatto troppo …
"È finito tutto" dice uno scosso Antonino Caponnetto a un giornalista, uscendo dall'obitorio dopo l'ultimo saluto a Paolo Borsellino …
Oggi c’è bisogno del coinvolgimento attivo delle vere responsabilità di allora ma, senza leggi che sblocchino documenti segreti quella della “borsa” rimane una commemorazione sterile e l’agenda rossa un unicorno.
Se esiste realmente il “diritto di conoscere la verità” e la “lotta culturale alla mafia” servono atti legislativi veri e decisi, dal dissequestro immediato dei reperti alla pubblicazione integrale dei documenti ancora secretati.
La borsa custodita in teca - che emana tuttora il dolore di una deflagrazione avvenuta con esplosivo tipo Semtex-H ricavato da residuati bellici ripescati in mare(?) c’è e racconta della carne bruciata degli uomini che hanno provato a combattere lo stato-mafia ma, l’agenda?
Niente, sparita!
L’agenda rossa di Paolo Borsellino, il “leggendario” taccuino da cui il magistrato non si separava mai e che conteneva appunti investigativi, riflessioni e presunte rivelazioni sulla trattativa Stato‑mafia, è ancora dispersa.
La borsa del giudice invece, ritrovata fumante nell’auto blindata, non conteneva l’agenda restata con lui fino all’ultimo momento.
Dopo la strage del 19 luglio 1992, infatti, l’agenda è stata vista a terra vicino al corpo di Borsellino, poco dopo l’esplosione di via D’Amelio, secondo filmati emergenti solo dopo due decenni.
…solo dopo due decenni, con molta calma.
Facciamo un veloce ripasso …
Diversi indizi investigativi hanno puntato su figure come Giovanni Arcangioli (allora capitano dei Carabinieri) e anche Arnaldo La Barbera (l’allora capo della squadra mobile di Palermo), ritenuti coinvolti nel depistaggio della sparizione dell’agenda.
Nel novembre 2023 e giugno 2025 la Procura di Caltanissetta ha disposto perquisizioni nelle abitazioni dell’ex questore La Barbera e dell’ex procuratore Giovanni Tinebra (morto nel 2017), ipotizzando che l’agenda fosse in possesso della nota loggia massonica o dei loro familiari.
Nota loggia massonica?
Quale loggia massonica?
Non la P2.
Per una volta non la P2 di Arezzo bensì la “Loggia massonica coperta di Nicosia - Enna”, una super loggia massonica segreta nella quale potessero: “confluire esponenti politici di rilievo della imprenditoria e della criminalità organizzala in modo da creare rapporti di reciproca convenienza" e con grande capacità di infiltrazione negli apparati pubblici.
Massoneria o non massoneria l’agenda, ovviamente, non è stata ritrovata!
Nonostante decine di testimonianze, perquisizioni, processi e richieste di accesso agli archivi, l’agenda rossa resta un mistero irrisolto.
Familiari, come il fratello Salvatore Borsellino, da anni chiedono la sua restituzione all’Italia intera, definendo il documento come: “parte irrinunciabile della memoria collettiva e della verità sulle stragi di Stato.“
Esibire oggi la borsa di Borsellino nella cornice sontuosa di Montecitorio significa riportare per un momento la sua memoria sotto i riflettori - ma è una memoria che rischia di restare chiusa nella teca del teatro istituzionale, anziché diventare motore di verità.
Se davvero vogliamo onorare la figura di Borsellino e delle vittime delle stragi del 1992, serve più di una “esteriorità commemorativa”: serve trasparenza sulle carte oscure, atti di giustizia, riforme che scongiurino l’oblio e le complicità.
Altrimenti, ieri come oggi, lo Stato offrirà sempre una vetrina senza sostanza - una modernità di facciata per dissimulare silenzi di Stato e complicità istituzionali.
Mostriamo al popolo, perché no, la corda con la quale è stato suicidato Roberto Calvi, l’ultima cartella clinica di Francesco Pazienza, l’arma con la quale è stato ammazzato (da nessuno) Mino Pecorelli, il porta asciugamani dov’è stato suicidato Fabio Marcelli, la tazzina del caffè di Sindona e quella del pontefice Papa Giovanni Paolo I, le foto di Via Poma, le veline del SID dell’attentato di Fiumicino del 1973, le veline dell’Anello, i fascicoli di Gladio e Stay Behind, l’agenda di Gelli, il sottoscala dov’è stata suicidata Brenda (il trans con cui si incontrava Marrazzo) ma l’elenco sarebbe infinito, dovremmo realizzare un museo più o meno delle dimensioni del Museo russo dell'Ermitage di San Pietroburgo.
Siamo stati duri?
Beh, vediamo che aria tira nelle procure interessate …
La Procura di Messina ha aperto un’indagine per concorso in calunnia aggravata nei confronti di ex magistrati del pool di indagine sulla strage, come Annamaria Palma e Carmelo Petralia, oltre a tre poliziotti: Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.
Secondo l’accusa, avrebbero orchestrato l’uso di falsi pentiti come Vincenzo Scarantino per far condannare ingiustamente 8 persone.
Una decisione che la Corte d’assise d’appello di Caltanissetta considera un grave depistaggio che tragicamente ha compromesso la verità delle indagini già a partire dal 1992.
Il processo Borsellino-quater (2021) evidenzia una “convergenza d’interessi” tra Cosa Nostra e gruppi di potere estranei all’organizzazione mafiosa, coinvolti in un depistaggio strutturato che ha alterato il quadro investigativo e ritardato la verità sulla strage del 19 luglio 1992.
Il 30 luglio 1992, pochi giorni prima dell’attentato, Borsellino aveva intenzione di denunciare all’interno del CSM i malesseri interni alla Procura di Palermo.
Secondo testimonianze rese dalla magistrata Antonella Consiglio, il giudice avrebbe preparato una esposizione di criticità molto gravi nella struttura investigativa e organizzativa della procura (Borsellino voleva denunciare i fatti interni alla procura).
Secondo il criminologo Vincenzo Musacchio e le motivazioni della Procura di Caltanissetta, Borsellino fu ucciso principalmente perché era a conoscenza della trattativa Stato‑mafia, e di conseguenza rappresentava un ostacolo da eliminare per proteggere eletti interessi istituzionali, oltre quelli mafiosi.
Viene esplicitamente registrata “impropria partecipazione del Sisde (servizi segreti) alle indagini”, senza essere comunicata ai magistrati competenti, presumibilmente con complicità o omessa supervisione dei vertici istituzionali dello Stato dell’epoca.
I giudici di Caltanissetta scrivono poi che l’agenda rossa sarebbe stata sottratta da un uomo dello Stato, nell’ambito di una strategia che impedisse le indagini su matrici istituzionali della strage, non solo su motivazioni mafiose pure.
Questo elemento sottolinea come fu fondamentale tener nascosta quella “scatola nera” che avrebbe potuto rivelare le responsabilità interne allo Stato italiano oltre Cosa Nostra.
Secondo le indagini odierne e le sentenze della Procura di Caltanissetta, la morte di Paolo Borsellino è stata una combinazione di violenza mafiosa e condotte interne allo Stato, tra omissioni, depistaggi e informale cooperazione tra istituzioni devianti, servizi segreti e ambienti non mafiosi.
L’agenda rossa resta dispersa, ma il contesto evidenzia come Borsellino sia stato isolato da parti dello Stato che lo consideravano pericoloso conoscitore delle verità sulla trattativa Stato‑mafia.
In memoria di Paolo Borsellino: non basta una borsa in una teca, serve la verità.
Oggi vogliamo, ehm...pretendiamo la verità...
A cura di Fidi@s1970 - Member 20643 * GNS Press Association e "Mino"
(Immagine dal web)










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