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Strage di Bologna: nuove perizie, ordigno anomalo e tante, troppe domande sulle certezze!

  • oposservatoriopoli
  • 9 lug
  • Tempo di lettura: 5 min

A oltre quarant’anni dalla strage di Bologna, che il 2 agosto 1980 costò la vita a 85 persone e ne ferì oltre 200, emergono nuove analisi tecniche che mettono in discussione punti centrali della ricostruzione giudiziaria ufficiale.

Condanne definitive hanno assegnato la responsabilità esecutiva ad alcuni esponenti dei Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR), tra cui Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini, Gilberto Cavallini e, più recentemente, Paolo Bellini.

Tuttavia, i nuovi elementi peritali riaprono interrogativi sulla natura stessa dell’ordigno e sulle dinamiche dell’attentato.

Un ordigno che non doveva esplodere così?

Le più recenti perizie scientifiche, a partire da quelle condotte dal perito Danilo Coppe con la collaborazione del RIS di Roma, descrivono un dispositivo esplosivo ‘profondamente diverso’ da quanto ipotizzato all’epoca delle prime indagini.

La carica inizialmente stimata tra i 20 e i 25 kg è stata rivista a circa la metà, composta principalmente da Compound B (una miscela di TNT e T4), con tracce marginali di gelatinato, nitroglicerina e pentrite, elementi tipici questi di ‘residuati bellici’ non di ‘esplosivi artigianali’ o da uso civile.

Soffermiamoci sulla miscela militare di tipo bellico.

Compound B, composto dal caro vecchio TNT (Trinitrotoluene), un esplosivo militare classico, stabile, facilmente trasportabile, dal T4 (RDX o ciclonite), molto più potente del TNT, impiegato soprattutto in esplosivi militari ad alta efficienza.

Poi la Nitroglicerina e Pentrite (PETN - uno degli esplosivi più potenti finora prodotti) classificate quali “tracce residue”, probabilmente utilizzate come booster (avviatori di detonazione) oppure come parte di cariche secondarie e infine il Gelatinato esplosivo, la vera componente secondaria, derivata dalla nitroglicerina stabilizzata, usata in passato anche in ambito civile ma poco comune negli anni ’80.

Questo mix, di certo, non era nelle disponibilità, nella possibilità né nelle capacità d’assemblaggio di civili, la matrice della ‘maestranza’ è chiara!

Ma forse non a tutti …

Ma a sorprendere ancor di più è il sistema di attivazione, infatti, tra i detriti è stato ritrovato un ‘presunto interruttore’, inizialmente identificato come compatibile con impianti ferroviari o dispositivi artigianali.

Tuttavia, ulteriori analisi e visione delle fotografie a colori hanno portato lo stesso Coppe a ritenere possibile che si trattasse non di un interruttore, ma di una placca metallica deformata o comunque di un oggetto non progettato per l’attivazione di una bomba.

Non si esclude che la detonazione possa essere stata accidentale o prematura, innescata da un guasto del sistema meccanico o da un difetto strutturale.

In sostanza, non è mai stato provato che l’ordigno fosse progettato per esplodere con precisione nella sala d’aspetto della stazione di Bologna.

Un dettaglio questo, tutt’altro che marginale, che mina alla base la certezza della premeditazione piena e del controllo dell’attentato da parte degli esecutori.

Una bomba militare, non artigianale!

Un altro aspetto critico emerso dalle nuove perizie è la natura “professionale” dell’ordigno, la composizione chimica e la struttura della bomba suggeriscono un assemblaggio in ambienti esperti, potenzialmente militari, o comunque con accesso a materiali da guerra.

Non si trattava quindi di una ‘bomba improvvisata’ da militanti clandestini, ma di un ordigno sofisticato, frutto di una regia tecnica e qualificata.

Questa osservazione solleva interrogativi cruciali, viene spontanea la domanda: “Chi poteva disporre di simili materiali?”

E ancora: “E perché usarli in un attentato destinato a colpire civili, quando altre soluzioni logistiche più semplici e meno tracciabili erano a disposizione?”

Non ci sarà mai una risposta.

Una strategia scritta altrove?

Parallelamente alle novità tecniche, le indagini giudiziarie su mandanti e finanziamenti aprono scenari ancora oscuri.

Un documento sequestrato a Licio Gelli nel 1982 descrive il transito di diversi milioni di dollari su conti svizzeri intestati a fiduciari della loggia massonica P2, tra cui Marco Ceruti e Umberto Ortolani.

Parte di quei fondi, secondo la Procura, sarebbero stati distribuiti pochi giorni prima dell’attentato, con presunti destinatari tra cui Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi - figure chiave dell’intelligence e dell’informazione ‘vicine’ alla rete dell’allora P2.

Sebbene queste persone non siano mai state processate (in quanto decedute), i flussi di denaro documentati indicano una struttura economica parallela, potenzialmente coinvolta non solo nel finanziamento ma anche nel successivo insabbiamento dell’attentato, quindi depistaggi, piste false, omissioni.

Ma anche questa rimane solo una visione investigativa, una ipotesi se non solo una congettura.

I NAR, quindi, esecutori o strumenti inconsapevoli?

A questo punto, la questione centrale torna sul ruolo dei NAR, condannati in via definitiva.

È plausibile che un gruppo clandestino, ideologicamente estremista ma logisticamente limitato, potesse realizzare un’operazione di tale portata, con materiali militari, in un contesto strategico che richiedeva sofisticazione e risorse?

Secondo diversi analisti, i NAR potrebbero essere stati strumentalizzati, inseriti in una trama più ampia in cui svolsero il ruolo di esecutori visibili, facilmente accusabili, ma non necessariamente consapevoli dell’intero piano.

Una strategia utile a coprire la vera regia dell’attentato, annidata tra apparati deviati, logge segrete e ambienti dell’intelligence dell’epoca.

Una verità giudiziaria solida, ma incompleta e incompiuta …

Le sentenze emesse dalla magistratura hanno confermato responsabilità individuali ma, non hanno mai chiarito chi abbia ordinato la strage e, soprattutto, perché.

L’elemento più destabilizzante delle nuove perizie non è solo di natura tecnica, ma simbolica, l’ordigno stesso sembra non appartenere a una dinamica terroristica “classica”, né per materiali, né per modalità, né per attivazione.

Come dichiarato dal Colonnello Adolfo Gregori e dallo stesso Coppe in audizione nel 2019, non esistono altri casi documentati di un ordigno simile in quel tipo di ambiente civile.

E la sua presenza nella sala d’aspetto di seconda classe “non aveva ragione di esserci”.

Chi lo asserisce?

Le evidenze delle perizie del 2019 del Colonnello Adolfo Gregori, Ruolo Tecnico Logistico - Investigazioni Scientifiche - Direttore di Laboratorio del Reparto Carabinieri Investigazioni Scientifiche di Roma, Comandante della Sezione di Chimica Esplosivi ed Infiammabili e Vice Comandante del R.I.S. di Roma con 25 anni di esperienza nell’anali Forense delle Microtracce, degli Stupefacenti e degli Esplosivi e del perito Danilo Coppe, divulgatore scientifico, direttore tecnico della Siag (Società Imprese Appalti Generali) , geominerario esplosivista, laureato in Scienze Criminologiche e della Sicurezza ed esperto di blasting engineering con oltre 700 interventi di esplosivistica civile documentati.

Conclusioni?

Si, verità ancora da cercare …

Le nuove evidenze non cancellano i processi né assolvono gli esecutori ma è chiaro che mettono in crisi la narrazione consolidata.

Non è solo questione di colpe ma di verità storica, questo perchè la strage di Bologna appare sempre più come il frutto di un’operazione complessa, dove le responsabilità potrebbero essere diffuse, multilivello, e in parte ancora ignote.

Il compito della giustizia è stabilire responsabilità penali e, soprattutto, i motivi di queste responsabilità.

Ma il compito della società è non smettere di cercare risposte alle domande rimaste sospese.

E oggi, quelle domande ritornano a farsi sentire - nitide, inquietanti - tra le rovine ancora fumanti della nostra memoria collettiva.

A chi era destinata quella merce instabile?

Qual era il vero scopo di quell’esplosivo?

Perché è esploso proprio a Bologna?

Perché si trovava lì?

Chi lo stava trasportando?

E la storia - questa storia ormai cassata - sembra tutt’altro che conclusa!

 

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Immagine dal web


 
 
 

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