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PROSSIME ELEZIONI SINDACO DI NEW YORK: occhio al nuovo che avanza ...

  • oposservatoriopoli
  • 2 giorni fa
  • Tempo di lettura: 6 min

(...Ma siete sicuri che è questo  il progresso che volete?)

 

Siamo sempre attenti a ciò che accade nel mondo, anche se ci piace guardare di più ai fatti di casa nostra, ma quello che potrebbe accadere  a New York merita un attenzione particolare.


Perché l’onda d’urto, devastante, di questa nuova bomba “progressista” rischia di arrivare dritta anche in Italia.

 

Partiamo da un tema che ormai nessuno ha più il coraggio di toccare: il razzismo contro i bianchi!


Sì, esiste. E lo sapete.

 

Ed è tanto odioso quanto quello “tradizionale”.


Il razzismo non ha un solo colore: è arcobbalò.

 

E in Italia abbiamo già i nostri ‘pionieri’ del cosiddetto “antibianco”.


Come Antonella Bundu, candidata di Toscana Rossa, attivista per i diritti civili, ambiente, sanità e lavoro, e - non in ultimo - protagonista di una campagna per la “pace”.


Eppure, la stessa Bundu ha dichiarato testualmente:

 

“Smantellare la bianchezza è un atto politico urgente.”

 

Ora la domanda è semplice, diretta e ineludibile: questo non è razzismo?

 

Ecco dove siamo arrivati: alla mutazione genetica del progressismo.


Quello che un tempo predicava uguaglianza oggi si è trasformato in un tribunale razziale dove chi è nato bianco viene considerato colpevole per definizione.


Un rovesciamento perfetto, studiato nei campus americani e importato con entusiasmo da una “certa sinistra nostrana”: la nuova religione dell’“antibianchezza”.

 

Antonella Bundu, come tanti altri, ne è il volto italiano.


Predica inclusione ma esclude, parla di diritti ma costruisce muri ideologici, invoca la pace ma alimenta una guerra culturale fondata sul colore della pelle.


Non è progresso: è regressione travestita da riscatto!

 

E allora sì, bisogna dirlo chiaro e tondo: quando una figura pubblica, candidata e rappresentante di un’area politica, giustifica la discriminazione in nome dell’antirazzismo, non è un’attivista,  ma una pericolosa estremista con il tesserino morale di chi crede di poter decidere chi merita rispetto e chi no.

 

E New York?

 

Eh... a New York si profila un potenziale disastro.

 

E sì,  perchè la Patria degli “alleati” (di chi, poi, non si è mai capit...), sta per partorire l’ennesima tremebonda stronzata!

 

Il prossimo 4 novembre ci saranno le elezioni per il nuovo sindaco di New York.

 

Come sta andando la campagna elettorale per il sindaco di New York?

 

Male, male, male …

 

Si vota tra due settimane e il favorito è ancora Zohran Mamdani, 34enne socialista e musulmano, e Trump lo sta già minacciando.

 

Ma è Trump che minaccia Mamdani ,oppure è Mamdani che minaccia il mondo moderno?

 

L’ideologia dello “smantellare la bianchezza” non è un concetto filosofico, è una dichiarazione di ostilità sociale, un invito all’odio con la vernice del “politicamente corretto”.


Chi tace di fronte a simili parole non è complice per distrazione: è corresponsabile per vigliaccheria e di certo noi di OP non ve la mandiamo a raccontare perché il razzismo non cambia colore, cambia solo bersaglio.


E quando l’odio viene venduto come progresso, la civiltà è già in svendita.

 

Mamdani è nato a Kampala, in Uganda, il 18 ottobre 1991 da Mahmood Mamdani, professore di studi post-coloniali presso la Columbia University, ugandese di nascita ma originario del Gujarat e di religione musulmana, e Mira Nair, celebre regista indiana originaria del Punjab e di religione induista; il suo secondo nome, Kwame, gli è stato dato dal padre in onore di Kwame Nkrumah, primo Presidente del Ghana.

 

Abbiamo quindi un candidato sindaco alla città di New York, musulmano, che rievoca il “Partito della Convenzione del Popolo”, proveniente da un paese dove la bandiera è colorata di povertà, insicurezza alimentare e disuguaglianza senza contare gli estremisti autoctoni come le ADF (Forze Democratiche Alleate) e Al-Shabaab.

 

Tutto questo mix di forti emozioni si riassume in un uomo di 34 anni, musulmano che dall’Uganda migra in Sudafrica per poi approdare negli Stati Uniti, il “nemico di sempre”, dove nel Maine fonda la sezione Students for Justice in Palestine, scriviamola meglio: sezione Studenti per la Giustizia in Palestina!!!

 

Non giustizia per l’Uganda, Sudafrica, Birmania o Yemen... no...per la Palestina!

 

Ditemi se c’è o non c’è uno schieramento preciso di Zohran Mamdani.

 

Ovviamente c’è, perché un musulmano che si definisce “socialista” ed è il candidato ufficiale del Partito Democratico negli USA, con il suo trascorso, sa di integralismo!

 

Zohran Mamdani non è un outsider qualsiasi, è il manifesto vivente della nuova ideologia a doppia faccia: quella che predica tolleranza mentre semina divisione, che invoca giustizia mentre santifica l’appartenenza etnica e religiosa come chiave d’accesso alla virtù politica.

 

Cosa, esattamente, vuol fare negli Stati Uniti un uomo così?

 

Che idee progressiste vorrà porre in essere nel ruolo di sindaco di una delle città più “potenti” del pianeta?

 

Mamdani sa bene come muoversi perché è il prodotto perfetto di una sinistra americana che ha smesso di difendere i lavoratori per difendere le bandiere identitarie, una sinistra che non rappresenta più il popolo ma una minoranza organizzata e rumorosa, capace di spingere i partiti storici verso una deriva ideologica di stampo etnico-religioso.

 

Questo è terribile, non è progresso ma l’evoluzione della regressione.

 

Dietro la sua patina da “riformatore progressista” si nasconde un linguaggio tossico e calibrato, un risentimento elevato a dottrina politica.


Non lo dice apertamente, ma lo lascia filtrare, il mondo - secondo questa visione distorta - si aggiusta solo demolendo i simboli, i privilegi e persino le persone che rappresentano la cultura “bianca”, occidentale, cristiana.


Non è un’idea nuova.

 

È una vecchia ossessione travestita da moralità rivoluzionaria, la stessa che ciclicamente distrugge tutto ciò che non riesce a comprendere.

 

Zohran Mamdani ha capito come cavalcarla.


Ha monetizzato la rabbia, trasformandola in consenso.


Ha incanalato la frustrazione di una generazione senza radici e la potenza virale dei social media in un’arma politica - costruendosi l’immagine del “nuovo che avanza”, ma avanzando sulle macerie di un’identità collettiva che lui stesso contribuisce a frantumare.


Dall’Uganda al Queens, Mamdani non rappresenta la diversità, rappresenta la sua strumentalizzazione.

 

Quando dice agli agenti di New York che “non dovrebbero gestire le chiamate relative alla violenza domestica”, non sta proponendo una riforma, sta inoculando un messaggio ideologico, quello della colpevolizzazione delle istituzioni e dell’assoluzione preventiva del caos.


Dietro la facciata compassionevole, si cela il solito schema: demolire lo Stato per poi sostituirlo con la morale militante.

 

La sua vittoria alle primarie non è “una boccata d’aria fresca”, come dicono i commentatori distratti.


È una folata di polvere ideologica che soffoca il dibattito e divide ancora di più.


Sì, ha rappresentato una rivincita simbolica per una parte della comunità musulmana contro l’arroganza trumpiana, ma è anche e soprattutto un avvertimento per l’establishment democratico, la sinistra americana sta “perdendo il controllo della propria creatura”.


E quando la frustrazione diventa programma politico e l’identità diventa arma, non nasce il progresso - nasce un nuovo fanatismo con il volto rassicurante del cambiamento.

 

E allora chiamiamolo col suo nome, senza ipocrisie, questo non è progresso, è vendetta secolare mascherata da giustizia sociale.


È il trionfo dell’odio travestito da uguaglianza, dell’invidia che si finge riscatto, dell’intolleranza che pretende di insegnare la tolleranza.


E quando la politica smette di unire per cominciare a dividere, il risultato non è emancipazione, ma barbarie con un nome più elegante.

 

Se la vittoria di Zohran Mamdani alle primarie Democratiche di New York City è forse la prova vivente che le cose belle possono accadere, è anche la prova che le cose brutte possono accadere.

 

Musulmani, indipendenza, pari diritti e progresso, l’argomento è complesso e va distinto tra religione, cultura e società …

 

Con loro la donna è soggetta a un controllo maschile strutturale, abbigliamento imposto, limitazione alla libertà di movimento, divieto di viaggiare o lavorare senza consenso del marito o del padre.

 

Sulla libertà di espressione rimangono forti le pressioni culturali sul ruolo “tradizionale”, ovvero, la censura!

 

Ancora oggi nel mondo si perpetuano matrimoni combinati, controllo familiare e imposizione del velo, questo sarebbe il progresso che volete, davvero è questo quello che volete?

 

Il problema non è l’Islam come fede, ma l’Islam politicizzato e tribalizzato, che usa la religione per giustificare strutture di potere maschile.

 

Nelle società dove il diritto religioso prevale su quello civile, la donna non è un individuo: è una (nuda) proprietà!

 

Dall’Italia al resto d’Europa e come possiamo vedere, al mondo intero, il rancore e la vendetta la fanno da padrone e sotto!

 

Oggi, quello che si perpetua in alcune aree del mondo sotto il vessillo dell’Islam politicizzato non è progresso: è regressione!

 

È la mercificazione della donna, è il potere maschile camuffato da religione, è l’imposizione di regole che negano libertà, dignità e umanità.

 

E mentre noi parliamo di diritti, libertà e uguaglianza, lì (e qui) la donna resta una proprietà, soggetta a matrimoni combinati, controllo familiare e imposizioni culturali.

 

Questo non è solo incompatibile con l’Occidente, è incompatibile con la civiltà, con la morale e con l’essere umano stesso.

 

Chiunque voglia davvero parlare di progresso non può chiudere gli occhi di fronte a questa realtà.

 

La battaglia oggi è per la libertà, per la dignità, per l’umanità universale, e chi sceglie di chiudersi nella sottomissione deve essere chiamato alle proprie responsabilità culturali e civili.

 

Andava detto e l’abbiamo scritto...


Come se fosse per due...a sblindo...


(image dal web - politico.com)

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