Landini: il sindacalista senza fabbriche e senza operai ...
- oposservatoriopoli
- 30 set
- Tempo di lettura: 4 min
(ma con due Audi A6 di rappresentanza!)
Ma chi rappresenta, esattamente?
Maurizio Landini ha costruito la propria carriera come paladino dei lavoratori.
Ma oggi i lavoratori italiani si guardano intorno e vedono sempre più fabbriche che chiudono, delocalizzano, scappano dall’Italia soffocata da burocrazia, tasse e conflitti sindacali.
E Landini?
Invece di affrontare il disastro industriale che sta impoverendo interi territori, si preoccupa di guidare cortei sulla Palestina, di appoggiare flotte “umanitarie” che non cambiano la vita a nessuno, se non a chi vuole cavalcare bandiere ideologiche.
Un sindacalista che ha fallito …
Il compito di un leader sindacale dovrebbe essere quello di difendere gli operai delle fabbriche, mantenere i posti di lavoro, sedersi ai tavoli con le imprese e impedire che la produzione italiana venga svenduta all’estero.
Ma i numeri parlano da soli: in dieci anni, l’Italia ha perso migliaia di aziende manifatturiere e decine di migliaia di posti.
La CGIL, sotto Landini, non è stata un argine.
È stata una passerella… per lui!
Piazze per lui, non per i lavoratori…
Ogni volta che Landini chiama, la piazza risponde.
Ma quella piazza non è più dei lavoratori, è sua, personale.
Un trampolino politico in una piscina senz’acqua...
Non rappresenta la fatica operaia, ma l’ambizione di un uomo che guarda già al Partito Democratico, pronto a ritagliarsi un ruolo quando la carriera sindacale avrà esaurito ogni credibilità.
Il futuro? Forse un bel seggio …
Fallito come sindacalista, Landini non resterà disoccupato.
La politica lo aspetta.
Magari entrerà in Parlamento, a spese di quei tesserati che credevano di difendere il lavoro, e invece hanno difeso solo la sua carriera. La CGIL, più che una casa dei lavoratori, rischia di diventare la sua personale agenzia di collocamento.
La CGIL dovrebbe essere la voce dei lavoratori.
Invece è diventata la cassa di risonanza di Maurizio Landini.
Migliaia di iscritti pagano quote e riempiono piazze, ma non vedono risultati.
Le aziende chiudono, i giovani scappano all’estero, i salari reali restano fermi.
E Landini?
Preferisce sventolare bandiere ideologiche, palestinesi finanche, piuttosto che difendere il futuro di chi paga il prezzo delle sue passerelle in Italia.
Il sindacato che un tempo faceva tremare i padroni, oggi fa scappare le imprese.
E non perché sia “duro”, ma perché è vuoto.
Un sindacalismo che non produce soluzioni, che non sa contrattare, che vive di slogan e cortei sfasciapiazze.
Così si condannano i lavoratori, non i padroni.
Un sindacalista senza fabbriche (e 45.000 tessere in meno alla CGIL in un solo anno) ..., questo è oggi Landini.
Un capo che guida eserciti che non esistono più, perché l’Italia produttiva si dissolve sotto i colpi della globalizzazione e dell’incapacità sindacale.
Il paradosso è evidente, mentre le imprese se ne vanno, il segretario della CGIL rimane ancorato a battaglie che non portano un solo posto di lavoro.
La sua vera preoccupazione sembra essere un’altra, garantirsi un futuro.
Non quello degli operai, ma il suo.
Il sospetto è che l’unico “posto sicuro” che gli interessi non sia in fabbrica, ma in Parlamento.
Dal fischietto alla poltrona con un passaggio sulle A6...
È una vecchia storia, quando la carriera sindacale si consuma, resta la politica.
E Landini lo sa.
Il rischio concreto è che si candidi grazie all’appoggio del PD, che lo userà per trascinare alle urne quella parte di iscritti CGIL ancora convinta di combattere per il lavoro, mentre in realtà combatte per la carriera di un solo uomo.
Così, dopo aver fallito nel difendere le fabbriche, dopo aver abbandonato i lavoratori alla precarietà e alla cassa integrazione, Maurizio Landini potrebbe fregare un seggio a qualcuno già in corsa tipo Elly Schlein, altro scempio della sinistra democratica.
Altro che “diritti”, altro che “lavoro”, qui si tratta di sopravvivenza personale, di un sindacalismo trasformato in trampolino politico.
Conclusione?
Un bluff smascherato…
Landini passerà alla storia non come il sindacalista che ha difeso i lavoratori, ma come quello che li ha usati.
Li ha trasformati in claque, in folla da corteo, in pedine per la sua ambizione.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: fabbriche vuote, piazze piene.
Ma le piazze non producono salari, non pagano mutui, non fermano delocalizzazioni.
Servono solo a lui.
E allora la domanda è semplice: quanti altri anni dovranno ancora aspettare gli operai italiani per avere un sindacato che pensi davvero a loro, e non alla carriera del suo capo?
Landini è il simbolo di un sindacalismo morto e autoreferenziale, che non difende più nessuno se non sé stesso.
Ha fallito nei tavoli, ha fallito nelle fabbriche, ha fallito con i lavoratori.
Ora resta solo un uomo attaccato a un microfono, alle sue Audi che parla a piazze piene ma vuote di risultati.
Un sindacalista che ha trasformato la CGIL in un trampolino per sé, e in una trappola per chi credeva di avere un difensore.
Non è il leader degli operai: è il becchino del lavoro italiano.
E qualcuno glielo doveva pur dire... e che cazzo!!
Hasta la victoria siempre ...comandante "Ernesto" Landini!
(image by OP mix ANSA 10.1.22)










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