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Favor Rei: salvagente d’oro ai colpevoli, mentre le vittime annegano!

  • oposservatoriopoli
  • 11 ago
  • Tempo di lettura: 3 min

Il Favor Rei è il lusso della clemenza per i colpevoli nel il silenzio per le vittime


Nel sacro santuario del diritto penale italiano, il favor rei occupa un trono dorato: chi sbaglia ha il diritto di essere perdonato... almeno dagli articoli 2, commi 2 e 4 del Codice Penale, che garantiscono irretroattività della pena più severa, ma retroattività di quella più mite.

Un regalo legislativo che fa il paio con l’articolo 669 c.p.p., col quale la Corte di Cassazione ha sancito che in caso di condanne in contrapposizione tra giudicati, vince sempre il reo!

E mentre il reo si gode la nuova legge più favorevole, magari con la stessa serenità con cui sceglie il gusto di un gelato estivo, le vittime restano a guardare.

Chi ha subìto realmente ingiustizie?

Il controsenso profondo della giustizia italiana.

È curioso – o forse è la ficcante ironia di un sistema perdente – che il principio massimamente garantista finisca per proteggere quasi solo chi ha violato la legge, mentre chi ha subito il torto si ritrova privato di certezze, consolazioni, risarcimenti.

È un disegno del diritto così a senso unico, che sembra quasi pensato per offrire ai condannati il tappeto rosso della rigenerazione, mentre le vittime arrancano nella polvere del trauma.

Parliamo di favor rei, non di favor veritas o favore vittima.

Un nome latino suona meglio di "almeno lo Stato ti mette in pausa il suo bastone e ti dà un biscotto giuridico", ma l’effetto è lo stesso: un sorriso al colpevole, il silenzio alla vittima.

Chi dice che la giustizia è cieca non spiega perché preferisca bendare un malvivente piuttosto che ascoltare chi ha il volto segnato dal dolore.

Un’ultima riflessione, senza pietismo, non ne siamo capaci.

Perché questo sistema ingrato?

Forse per scaldare i cuori degli avvocati difensori — sempre pronti a intrecciare cavilli e leggi più recenti — mentre le vittime, spesso inermi, rimangono parcheggiate tra un’aula e l’altra, senza applausi, né applausi.

Anche i libri di diritto più blasonati ci dicono quanto sia importante il favor rei, lo stesso che è stato applicato pure ai procedimenti disciplinari forensi.

Per loro, una grazia; per chi ha perso tutto, un silenzio degno di un cimitero giudiziario.

Ci vuole fegato per indignarsi davanti a un principio che, pur rivolto alla “garanzia”, finisce per tradire le vere vittime.

Non è forse criminale, questo “favor” così generoso per alcuni, così cieco per altri?

E la giustizia, nel frattempo?

Il favor rei continua a sfarfallare come un nigredo processuale, facendo scintillare le tutele per l’imputato – ma dove sono quelle per chi ha già perso tutto, dalle certezze al senso di sicurezza? Il risultato è che la vittima resta in fondo al film, relegata al ruolo di comparsa, mentre l’imputato gode del costume da protagonista.

Non è solo una sensazione: nonostante la direttiva UE abbia chiesto un rafforzamento del ruolo della parte lesa (audizione, risarcimento equo, indennizzo rapido), l’Italia risponde con un ritardo normativo inaccettabile, le vittime ricevono indennizzi simbolici o niente, e la Corte di Giustizia le rimprovera per sprezzo dei loro diritti.

Dopo anni di riforme attese, la vittima resta ancora incastrata in un sistema reo-centrico che le concede solo il ruolo di testimone, senza voce né risarcimento vero.

Quando poi il sistema crolla, e ciò accade troppo spesso, non servono solo scuse, ma una cura radicale: la lentezza che ingoia le denunce, le prescrizioni che cancellano la speranza, sono il macigno sul petto dei sopravvissuti.

In uno Stato civile, la giustizia non dovrebbe essere un ristorante per colpevoli affamati di diritti, ma un luogo di riparo grave per chi ha subito un torto.

In Italia, invece, il menu resta impareggiabilmente sbilanciato: piatti costosi per l’imputato, briciole e silenzi per le vittime.

Ah, che bello: in Italia il sistema giudiziario premia l’autore del reato con un abbraccio legale, mentre la vittima, forse, almeno un caffè – se va bene – se lo paga da sola, altre vittime, neanche il caffè.

“In Italia, il giudicato è più generoso con chi sbaglia che la legge con chi subisce. Ma basta poco per cambiare: un po’ di spina dorsale politica, un minimo di risorse e, soprattutto, smettere di considerare le vittime come comparse mal pagate sul palcoscenico della giustizia.”

Alla prossima in-giustizia...


di Massimiliano De Cristofaro

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