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Dalla vita segreta, e fin troppo sputtanata, alla morte dimenticata di Francesco Pazienza (Un altra sporca storia di spie...)

  • oposservatoriopoli
  • 16 lug
  • Tempo di lettura: 3 min

A cura di: AP detto “Mino” e Fidi@s1970 - Member 20643 * GNS Press Association


L’uomo che sapeva troppo, e morì solo …

 

Nel sottobosco torbido dell’Italia della Prima Repubblica, tra dossier segreti, trame bancarie, servizi deviati e scalate finanziarie un nome è stato per anni sinonimo di ambiguità e potere occulto: Francesco Pazienza.

 

Agente d'influenza, consigliere non richiesto, consulente spregiudicato, uomo di fiducia dei vertici del Sismi negli anni più bui e nervosi della Guerra Fredda ma anche protagonista - e in parte vittima - delle più grandi inchieste giudiziarie italiane del dopoguerra.

 

Tuttavia, ridurre la sua esistenza a un cumulo di scandali sarebbe un errore.

 

Perché Francesco Pazienza è stato, soprattutto, un uomo che ha saputo leggere in anticipo i movimenti profondi della società e delle istituzioni.

 

Uno stratega, dotato di un’intelligenza lucida e fuori dal comune, capace di intuire i punti ciechi del potere.

 

E di usarli.

 

Da un piccolo paese del tarantino, Francesco Pazienza si fece da solo.

 

Studi in medicina, poi economia, una passione per la finanza e la psicologia ma, soprattutto, per la manipolazione delle relazioni e dai suoi primi lavori all’estero all’ingresso in ambienti di intelligence e lobbying internazionale, il passo fu breve.

 

Ebbe rapporti con il generale Giuseppe Santovito, capo del Sismi e fu indicato quale membro della loggia P2 ma Francesco, non fu mai nella P2...

 

Non era un agente, non era un ufficiale, non era un politico, Francesco, “Cicci” per gli amici, era un “facilitatore”, un risolutore, un suggeritore.

 

Un uomo grigio in un’Italia piena di ombre.

 

Il suo nome è legato a molte vicende oscure, lo scandalo del Banco Ambrosiano e la misteriosa morte di Roberto Calvi, l’affaire Cirillo, i rapporti con Licio Gelli e anche la loggia massonica P2, i depistaggi nei confronti di giornalisti e magistrati scomodi, le manovre internazionali sulle banche vaticane.

 

Condannato in via definitiva per i depistaggi sull’uccisione del banchiere Calvi, scontò oltre 10 anni di carcere e molti domiciliari.

 

Negli anni successivi tentò, almeno in parte, di ricostruirsi una vita lontano dai riflettori.

 

Tuttavia, alcune procure sembravano avere ancora “bisogno” del suo nome per tenere insieme inchieste fragili, spesso ai limiti dell’inverosimile.

 

Fu così che venne coinvolto anche in quello che la Procura di Roma, nel 1999, definì enfaticamente il “processo del secolo” (per i più deboli in storia: la via della seta).

 

Un processo che però, come prevedibile, vide presto crollare l’impianto accusatorio e finì per sfilacciarsi nell’inevitabile discredito e infine nella prescrizione ...

 

Cicci scrisse, scrisse molto, forse troppo, rilasciò interviste, provò a raccontare “la sua verità” ma non poté mai raccontarla tutta.

 

Non si dichiarò mai completamente innocente ma nemmeno del tutto colpevole: “Ho servito lo Stato e sono stato tradito …”, amava dire, perché era vero ed è brutto vivere in un Paese nel quale non si può dire la verità.

 

Col passare degli anni Francesco Pazienza si è quasi inabissato.

 

Non più al centro della scena, né del dibattito pubblico, è rimasto una figura di culto per alcuni, una presenza ingombrante per altri.

 

In pochi si sono chiesti dove fosse, cosa facesse, come vivesse.

 

Negli ultimi tempi, viveva isolato e malato, con problemi respiratori e diverse patologie trascurate.

 

Aveva denunciato di essere stato abbandonato dal sistema sanitario e di non ricevere le cure necessarie.

 

La sua voce, però, non faceva più notizia.

 

È morto così, Francesco Pazienza: in silenzio, in un ospedale qualsiasi, come si legge in giro “per malasanità”...

 

Ma nessuno sa cosa gli sia realmente successo.


E sarebbe giusto saperlo.

 

Senza clamore, senza necrologi, senza una storia che lo ricordi come un essere umano.

 

Nessuna cerimonia pubblica, nessuna commemorazione, una cremazione e via ...

 

Nessuna lapide per ora, nessun fiore.

 

Un uomo che per anni aveva attraversato i corridoi del potere moriva da solo, nell’indifferenza generale.

 

Non c'è stata alcuna inchiesta sulla sua morte, nessuna domanda su come sia possibile che un uomo, pur discusso, potesse essere abbandonato così dal sistema che per anni aveva servito - o manipolato.

 

Un epilogo quasi simbolico, in linea con una vita vissuta a metà tra il segreto e la strategia, l’azzardo e il calcolo.

 

Forse, la sua ultima sconfitta.

 

O forse, l’ultima mossa di un uomo che ha scelto di svanire nell’ombra che aveva sempre abitato.

 

Ciao Cicci...buon ponte delle spade...

 

Ma il dubbio rimane …

ree

 
 
 

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