Sinistri allo sbando...
- oposservatoriopoli
- 17 nov
- Tempo di lettura: 10 min
La sinistra continua a sbandierare la retorica della giustizia uguale per tutti, ma appena si parla di toccare le carriere dei magistrati diventa una trincea.
È quasi una religione: l’idea che qualunque controllo, qualunque valutazione esterna, qualunque responsabilizzazione dei Pm, sia un attacco alla democrazia.
Il paradosso è che, così facendo, non difendono la giustizia: difendono le carriere di una casta che, quando sbaglia, non paga mai.
Perché?
Perché quel sistema gli conviene.
Perché una magistratura non valutabile significa una magistratura non criticabile.
E una magistratura non criticabile è l’arma perfetta per fare politica senza passare dalle urne.
È un equilibrio che la sinistra non vuole mollare: protegge l’apparato, non i cittadini.
Vogliamo dirla tutta?
C’è chi ha il coraggio di dirla tutta?
Si, noi di OP sì …
Il rapporto fra magistratura e sinistra non è “organico”, è storico-culturale.
Nel secondo dopoguerra buona parte della magistratura italiana era conservatrice.
Dagli anni ’70 in poi, con l’arrivo delle correnti interne si è creato un polo più progressista (Magistratura Democratica…) che, per valori dichiarati, diritti, garanzie, visione sociale della giustizia, era più “vicino” alla sinistra.
E poi l’ombra del fascismo …
Ah!! Quanto ha rotto il cazzo sto fascismo...
Parliamo quindi di ordini dall’alto, non di certo di affinità culturale.
La sinistra ha spesso difeso l’autonomia della magistratura, è palese.
Non perché “comandi i Pm” ma perché, storicamente, ha visto l’indipendenza dei giudici come un contrappeso ai governi forti.
Questo l’ha portata, negli anni, a opporsi a riforme percepite come limitazioni del potere giudiziario.
Risultato?
La percezione pubblica di un “asse” sinistra-toghe.
La consistenza?
Un “asse” sinistra-toghe!
La realtà?
Sinistra-toghe rosse!
In alcuni periodi (anni ’90 in particolare), parti della sinistra hanno cavalcato l’onda giustizialista, specie quando le inchieste colpivano gli “avversari” politici.
Questo ha rafforzato l’idea di una simpatia politica mai esplicitata ma evidente nei toni.
Ma, non è solo un’idea, la storia ci rivela tutt’altro che una semplice idea.
Dall’altra parte, le correnti progressiste delle toghe hanno spesso appoggiato posizioni più vicine alla sinistra.
Non in termini di “militanza”, ma di sensibilità, antimafia, anticorruzione, diritti civili.
Sono temi dove la sinistra ha investito politicamente, e questo ha creato convergenze.
Eppure, ci stiamo andando piano.
No, forse dobbiamo rimodulare tutto.
E scrivere senza guanti.
Il vero problema è che la magistratura è diventata un campo di battaglia politico.
Perché è palese che stia con una parte, anche perché la politica, o meglio, la sinistra, l’ha usata e la usa come simbolo.
Difenderla significa difendere i “poteri puliti”.
Attaccarla significava essere “contro la legalità”.
Da qui nasce il rapporto esclusivo.
La destra non è un potere pulito …
La destra è contro la legalità …
La destra non ha un buon rapporto con la magistratura.
È una impressione?
No, è un dato di fatto, in Italia è così.
E oggi il quadro è molto più fratturato.
La sinistra continua a proteggere l’idea di una magistratura fortemente autonoma.
La destra spinge per valutazioni, responsabilità, separazione delle carriere.
Nel mezzo, un sistema di potere interno alle toghe che non risponde a un partito, ma a logiche corporative ben più durette degli schieramenti politici.
Una larga parte della magistratura italiana ha una forte tradizione progressista.
Magistratura Democratica - e altre correnti “di area” - hanno storicamente espresso posizioni più vicine alla sinistra, come i diritti, l’antimafia militante, l’espansione del ruolo del pubblico ministero e la visione interventista della giurisdizione.
Questo non è un segreto.
È un dato.
Un dato di fatto.
“Eh, ma questo non significa che tutti i magistrati siano di sinistra”.
No. Ma significa che l’asse culturale dominante in alcune procure e correnti del CSM è stato quello per decenni...
Quindi il dato reale basta e avanza.
E quando si sbatte in faccia a tutti che è un dato di fatto, la sinistra riparte con la “percezione”.
Non è percezione è il cavallo bianco di napoleone, che è bianco.
Molti magistrati hanno fatto carriera politica nella sinistra.
Di esempi ce ne sono e iosa, ex Pm divenuti parlamentari del centrosinistra, magistrati candidati alle amministrative o alle europee con partiti progressisti, figure di punta di indagini “sensibili” che poi sono passate in politica.
Come dite? Non serve fare nomi, il fenomeno è noto?
No no, facciamo i nomi …magari per quelli corti di memoria...
Antonio Di Pietro, ex Pm di Mani Pulite, fondatore dell’Italia dei Valori (partito chiaramente collocato nell’area di centrosinistra), Ministro nei governi di centrosinistra.
Pietro Grasso, ex Procuratore Nazionale Antimafia, eletto al Senato nel centrosinistra, poi Presidente del Senato e successivamente leader di “Liberi e Uguali”, formazione di sinistra.
Luigi De Magistris, ex Pm, Europarlamentare con l’Italia dei Valori (centrosinistra) poi sindaco di Napoli con una coalizione di sinistra.
Michele Emiliano, ex magistrato, storico dirigente del Partito Democratico, già sindaco di Bari e presidente della Regione Puglia.
Antonio Ingroia, ex Pm antimafia, candidato premier con Rivoluzione Civile, lista chiaramente collocata a sinistra, dopo la sconfitta è rientrato in ruoli pubblici (non in procura, ma in incarichi legati allo Stato).
Roberto Scarpinato, ex Procuratore Generale di Palermo, oggi senatore eletto con il Movimento 5 Stelle (che negli ultimi anni si è spostato stabilmente verso alleanze col centrosinistra).
Allora?
È percezione?
Si?
Andiamo avanti …
Ora passiamo ai casi sono i più contestati perché alimentano la “percezione” della “porta girevole”…
Corrado Carnevale?
No.
Giusto per farvi capire che non stiamo sparando nomi a caso.
Procediamo coi nomi veri?
E procediamo allora.
Michele Emiliano, dopo il periodo da magistrato, entrò in politica; prima però ottenne aspettativa e la possibilità di rientrare in ruolo se avesse lasciato gli incarichi politici.
Luigi De Magistris, stessa cosa. Più volte passò da aspettativa a candidatura e ritorno.
Ingroia, dopo la sconfitta elettorale chiese (ed ottenne) un rientro, non in procura ma in ruoli statali.
E si, la legge italiana, fino a interventi molto recenti, permetteva esattamente questo meccanismo: candidatura = eventuale elezione = eventuale rientro nei ranghi come se niente fosse...
E questa la chiamate equità?
E per i magistrati vicini a correnti progressiste (influenza culturale, non candidatura), vogliamo spendere qualche parola?
Non sono entrati in politica, ma hanno avuto un peso pubblico “percepito” come schierato:
Piercamillo Davigo (Magistratura Indipendente, poi Autonomia e Indipendenza; posizioni pubbliche spesso interpretate come anti-destra).
Nino Di Matteo (mai entrato in politica, ma figura simbolo spesso associata a movimenti di sinistra).
Giancarlo Caselli (mai in politica, ma da sempre percepito come vicino al mondo progressista).
Questi non sono “politici” ma influenzano la percezione del rapporto toghe (rosse)–sinistra. Oppure è solo una nostra “percezione”?
Il rapporto tra la sinistra e la magistratura è caratterizzato addirittura da una divisione interna, da un lato c'è un'adesione ideologica alla difesa dell'autonomia e indipendenza del potere giudiziario, rappresentata da correnti come Magistratura Democratica e Area Democratica per la Giustizia, dall'altro esiste una visione critica che percepisce le riforme proposte per la giustizia, come la separazione delle carriere, come attacchi alla Costituzione.
D'altro canto, molti esponenti politici hanno accusato la magistratura di “usare” il proprio ruolo in maniera politica, sostenendo che "Magistratura Democratica" sia un gruppo di potere legato alla sinistra che mira a screditare gli avversari.
Possiamo affermare il contrario?
No.
La verità è che la storia della “percezione” è una scusa.
Una paraculata.
Per anni la sinistra ha cercato di liquidare ogni discussione sul rapporto fra toghe e politica con la frase pronta: “È solo una percezione”.
Un modo elegante per dire: non toccateci la magistratura, non fate domande, non sollevate dubbi.
Ecco, adesso ci siamo.
Invece la tocchiamo, facciamo domande e, soprattutto, solleviamo e solleveremo dubbi da qui all’infinito.
Il problema è che quella linea difensiva è crollata perché i fatti l’hanno smentita uno per uno.
Non parliamo più di sensazioni, ma di magistrati candidati, eletti, rientrati in ruolo, uomini delle procure diventati leader politici, correnti giudiziarie apertamente orientate culturalmente verso l’area progressista.
Quindi no.
Non è una percezione.
Non è un’impressione.
Non è un malinteso.
È un sistema che per anni ha funzionato così, e che ora non può più essere nascosto dietro il paravento della retorica.
La sinistra è stata smascherata perché i nodi sono venuti al pettine.
Passaggi diretti tra procure e partiti.
Carriere politiche nate dentro gli uffici giudiziari.
Rientri in ruolo dopo sconfitte elettorali.
Correnti delle toghe schierate culturalmente in un’unica direzione.
Difesa pregiudiziale di ogni potere dei Pm come se fossero “proprietà privata”.
In questo quadro, parlare ancora di “percezione” è semplicemente ridicolo.
La realtà ha travolto la propaganda.
E meno male che la paura era per il fascismo.
Sto cazzo de fascismo morto ottanta anni fa ed ancora utilizzato come mantra...
Per chiudere, parliamo del “teorema Gratteri”?
Si, parliamo di quando il suo “modello di giustizia” entra in collisione con la vita quotidiana delle persone e delle istituzioni…
Gratteri è uno che ragiona a colpi di maxi-operazioni, strutture militari, poteri d’urto.
Funziona quando devi colpire le organizzazioni mafiose, perché è lì che quel tipo di approccio è necessario.
Ma quando lo stesso schema viene applicato anche alla gestione quotidiana della giustizia, nasce lo strappo.
Anzi, si apre una ferita profonda, uno sfregio …
Perché la giustizia quotidiana non è fatta solo di clan e retate, è fatta di fallimenti, piccole truffe, liti familiari, reati minori e contenziosi cittadini.
E lì il modello “duro e puro” di Gratteri spesso non è scalabile.
Le procure non possono funzionare tutte come reparti speciali: serve gestione, priorità, tempi, equilibrio.
Equilibrio. Mannaggia alla Pupazza. Equilibrio.
L’approccio iper-repressivo crea un problema di sostenibilità.
Indagare tutto, sempre, al massimo livello significa carichi ingestibili, uffici intasati, personale insufficiente e tempi che esplodono.
Il risultato?
Paradossalmente, la giustizia si blocca, e la vita quotidiana dei cittadini ne paga il prezzo.
Diciamola meglio: così succedono disastri, gli investigatori sotto pressione fanno cazzate e poi la gente muore, anche da innocente.
La distanza tra “narrazione” e realtà dei tribunali è un mostro.
Gratteri ha un’immagine pubblica potentissima, simbolica, quasi mitologica.
Il problema è che nei tribunali italiani reali la situazione è molto meno epica perché mancano giudici, mancano cancellieri, mancano strumenti, mancano soldi.
Spesso, troppo spesso, manca la giustizia.
Il modello che lui propone ignora questi limiti strutturali.
Il rischio culturale?
Semplice, trasformare l’eccezione in regola.
In Italia siamo specialisti.
Gratteri nasce e cresce in territori dove la mafia è una presenza quotidiana.
Il suo approccio viene da lì.
Il problema è quando lo stesso approccio viene esportato come soluzione valida ovunque.
Non tutte le procure italiane sono la Calabria.
Non tutte le realtà sono in guerra permanente.
La quotidianità richiede flessibilità, non uno stato di assedio permanente.
E in ultimo, a dirla tutta, non ci appare poi così sconfitta la criminalità organizzata.
Si crea così la frattura tra la “giustizia spettacolare” e la “giustizia che serve alla gente”.
Le mega-inchieste fanno notizia.
I processi di tutti i giorni fanno funzionare un Paese.
Ed è qui che nasce il vero problema, l’Italia ha bisogno di normalità, non solo di emergenza.
E il modello Gratteri a volte fatica ad adattarsi alla normalità.
Anche perché poi lo vediamo in tutti i Tribunali d’Italia che le mega-inchieste all’inizio volano leggere come dirigibili, poi si sgonfiano e proprio come i dirigibili svampano, tipo gli Zeppelin…
“Il vecchio faro si stagliava, solitario e fiero, contro il cielo che si tingeva delle sfumature violacee del tramonto. La brezza marina, carica di salsedine e ricordi, accarezzava le pietre consunte dalla storia e dalle tempeste. Laggiù, dove l'orizzonte incontrava il mare, l'ultimo sole si preparava a cedere il passo alla notte imminente.”
Si, meglio una poesia che raccontare storie di giustizia, o peggio, dell’orrore …
La sinistra, Gratteri e i guardiani del vecchio faro “sistema giudiziario” sono il tracollo ideologico del Paese.
Perché?
Perché Gratteri non è il problema in sé, ma è l’uso che se ne fa...
Ogni volta che qualcuno propone una riforma, salta fuori il suo nome come scudo umano: “non si può cambiare nulla, altrimenti fermate la lotta alla mafia”.
Che c’entra?
C’entra perché la mafia così la combatti, certo.
Ma nell’Italia reale, non puoi trasformare un paese di 60 milioni di persone in un maxi-processo permanente.
Servono regole, equilibrio, tempi certi, garanzie vere.
Un approccio da emergenza continua non tiene in piedi un sistema: lo spacca.
La sinistra continua a difendere una magistratura così com’è, come se fosse intoccabile, perfetta, immacolata!
E nel frattempo la gente muore in galera, anche quando è innocente.
È questo il loro modello?
Perché se difendi un sistema che non funziona, difendi anche le sue vittime.
E le vittime, oggi, sono i cittadini schiacciati dai ritardi, dagli abusi, dalla burocrazia giudiziaria che va in tilt al primo colpo di tosse.
E nel frattempo, nei tribunali, le cause civili ad esempio durano dieci anni, i processi penali crollano in prescrizione o si trascinano fino alla tomba e la giustizia di tutti i giorni è allo sfascio totale.
Il risultato del NO?
Semplice, nutrire un sistema che fa schifo.
E ce ne vergogniamo.
Altro che “fiore all’occhiello della democrazia”.
Questo sistema giudiziario è un collasso strutturale, innocenti che entrano in carcere e ci restano mesi o anni; gente che muore nelle celle senza aver avuto un processo; carceri al limite della tortura; Pm che possono devastarti la vita senza pagare un errore; giudici intoccabili, protetti da correnti e amicizie; ritardi che distruggono aziende, famiglie e carriere!
E la politica, soprattutto la sinistra, fa finta che sia tutto normale.
Che il problema non esista.
Che il sistema sia perfetto e che siano i cittadini a non capirlo.
No: è il sistema infame e protetto che ci fa vergognare di essere un Paese civile.
La verità è semplice, chi difende questa magistratura così com’è difende l’ingiustizia.
Difende il caos.
Difende un potere senza responsabilità.
Difende un modello dove la vita della gente vale meno del protocollo.
E soprattutto difende una cosa che nessuno ha il coraggio di dire ad alta voce:
un sistema che non funziona più.
Non da anni.
Da decenni.
O forse, non ha mai funzionato …
a cura di Mino e Fidi@s










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