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SI SCATASTA LA CASTA? Scavicchi ma non apra...

  • oposservatoriopoli
  • 3 nov
  • Tempo di lettura: 11 min

La casta (quasi) intoccabile della giustizia…


Da quasi quarant’anni, se non di più, la giustizia italiana è diventata un terreno minato.

 

Processi infiniti, sentenze capovolte, innocenti distrutti e colpevoli che escono di scena come fantasmi.

 

Ogni volta che si parla di “riforma della giustizia”, la risposta è sempre la stessa: un muro di gomma.

 

La magistratura si difende da ogni tentativo di cambiamento come se fosse una divinità offesa, non un potere dello Stato soggetto a regole e responsabilità.

 

Lesa maestà …

 

Il vero scandalo invece, è che nessuno paga mai per gli errori giudiziari.

 

Nessuno viene rimosso per un processo rovinato, per una custodia cautelare sbagliata, per un’indagine montata male.

 

Più che rimosso …riposizionato!

 

I magistrati che sbagliano (anche volontariamente) continuano la loro carriera, spesso premiati o promossi.

 

Ecco, ora si, da rimosso a …promosso!

 

È un sistema autoreferenziale, dove chi giudica non è mai giudicato.

 

Mai.

 

La magistratura si è trasformata in una corporazione chiusa, dove il potere non deriva dal merito ma dalle appartenenze.

 

La massoneria a confronto, è il circolo anziani di periferia.

 

Correnti, associazioni, manovre interne: la toga è diventata una tessera politica.

 

Una tessera fortissima.

 

Il risultato?

 

Una giustizia usata come arma, non come garanzia.

 

Chi incarna il potere giudiziario ha dimenticato di essere “servitore dello Stato” e non padrone dei destini altrui.

 

Tuttavia …

 

E mentre si parla di riforme, loro si oppongono, gridando all’attacco all’indipendenza.

 

Ma la vera indipendenza non è libertà di fare come si vuole: è responsabilità!

 

Responsabilità...porca troia...

 

È equilibrio tra potere e dovere.

 

Equilibrio...ari porca troia...

 

È la consapevolezza che ogni firma su un fascicolo può distruggere vite.

 

Consapevolezza.

 

Fino a quando i giudici resteranno “al di sopra della legge”, la giustizia resterà la più grande ingiustizia d’Italia.

 

La più grande farsa d’ogni tempo.

 

E ogni cittadino continuerà a chiedersi, con amarezza: “Chi e quando giudicherà i giudici?”

 

Mai e nessuno, questa è la risposta.

 

E questa e solo questa è la verità, null’altro che la verità.

 

Separazione, solo questa è la soluzione al male atavico.

 

La “separazione delle carriere nella magistratura italiana” è una riforma costituzionale che è stata approvata in via definitiva dal Parlamento a fine ottobre 2025.

 

La legge, tuttavia, sarà probabilmente sottoposta a referendum confermativo prima di entrare in vigore, poiché non è stata approvata con la maggioranza qualificata dei due terzi in entrambe le Camere durante la seconda votazione.

 

E il referendum?

 

Già tradito?

 

Ogni volta che il popolo prova a farsi sentire, arriva puntuale la manovra per zittirlo.

 

È successo con il referendum sulla giustizia: promesse, parole, e poi il nulla.


I cittadini chiedono trasparenza, controllo, fine dei privilegi.

 

Ma chi deve essere giudicato ha paura di esserlo.

 

E così il sistema si blinda, il referendum si svuota, la volontà popolare viene archiviata come un faldone dimenticato.

 

Hanno trasformato la democrazia diretta in una farsa, dove votare serve solo a legittimare chi decide sopra le nostre teste.

 

Parlano di equilibrio tra poteri, ma è un pretesto: l’unico potere che non vogliono toccare è il loro!


Ogni tentativo di riforma viene bollato come “attacco all’indipendenza della magistratura”.

 

La solita solfa, la solita frase, un disco rotto.

 

Indipendenza.

 

Autonomia.

 

Autogestione.

 

Autosufficienza.

 

Autogoverno!

 

E no!

 

Questa è solo la formula magica per tenere tutto com’è: ingiustizie, impunità, carriere decise nelle correnti e cittadini lasciati marcire in attesa di una sentenza.

 

Il referendum avrebbe potuto essere l’inizio di una rivoluzione civile.

 

Invece, è stato già strangolato nella culla da chi teme la luce del sole.


E allora sì, bisogna dirlo chiaro: questa non è difesa della Costituzione, è difesa di un ceto.

 

Finché i magistrati continueranno a giudicare sé stessi, la giustizia non sarà mai libera. Sarà solo il braccio armato di un potere che ha smesso di ascoltare la gente.

 

Ma dov’è il problema della separazione?

 

Il problema è il togliergli il potere assoluto di rimpasto!

 

La riforma introduce una netta distinzione tra la figura del giudice (funzione giudicante) e quella del pubblico ministero (funzione requirente) che, finora, hanno fatto parte di un unico ordine professionale con possibilità di cambiare ruolo durante la carriera.

 

Ciò è inaccettabile, altro che indipendenza, questo si chiama essere totalmente fuori controllo.

 

L'accesso alla magistratura, quindi, con la separazione delle carriere, avverrà tramite due concorsi separati, uno per i giudici e uno per i pubblici ministeri, precludendo il passaggio dall'una all'altra funzione in un secondo momento.

 

“Precludendo” ovvero, impendendo lo scambio di ruoli.

 

Di conseguenza, l'attuale Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), l'organo di autogoverno dei magistrati sarà diviso in due organi distinti, un Consiglio Superiore della Magistratura Giudicante e un Consiglio Superiore della Magistratura Requirente e a chiudere il cerchio, verrà istituita un'Alta Corte disciplinare, composta anche da membri laici, a cui sarà affidata la competenza sui procedimenti disciplinari per entrambe le magistrature.

 

Eccolo il maglio, eccolo il Malleus Maleficarum del quale hanno paura queste streghe!

 

Perché l'obiettivo dichiarato della riforma è garantire una maggiore imparzialità e terzietà del giudice, assicurando l'equidistanza tra accusa (pubblico ministero) e difesa nel processo penale.

 

Obbrobrio, orrore, scandalo, si sta limitando il “potere temporale” della magistratura.

 

L'opposizione alla separazione delle carriere, portata avanti principalmente dall'Associazione Nazionale Magistrati (ANM) e dalle forze politiche contrarie alla riforma (guarda caso, l’opposizione, ovvero la sinistra, o meglio i Dem...), si basa su diverse argomentazioni, a partire dal cosiddetto Rischio di dipendenza dall'esecutivo alla compromissione della terzietà "culturale" del giudice.

 

Di fatto, però, molti oppositori ritengono che le ragioni dietro la riforma siano più “politiche” che giuridiche, e che l'obiettivo reale di alcune forze politiche sia limitare l'autonomia della magistratura inquirente, che in passato ha condotto inchieste anche su esponenti di primo piano del mondo politico. 

 

E se così fosse, per assurdo?

 

Fino ad oggi abbiamo avuto processi ad orologeria e scandali dell’ultimo minuto, dare uno scossone e riequilibrare il tutto non può che apportare benefici.

 

Mentre la maggior parte della “magistratura organizzata”, in particolare sempre l'Associazione Nazionale Magistrati (ANM), si è fermamente opposta alla riforma, esistono singoli magistrati o correnti minoritarie che hanno espresso posizioni favorevoli o quanto meno, non pregiudizialmente contrarie.

 

Quindi c’è del buono ma è una minoranza che gli altri non fanno parlare, oppure è una maggioranza soffocata da una minoranza che possiede un grosso megafono ed un potere politico maggiore?

 

I magistrati favorevoli ritengono che la separazione delle carriere possa portare a una giustizia più efficiente e, soprattutto, a una maggiore garanzia di imparzialità e terzietà del giudice.

 

Inoltre, da più parti, anche autorevoli, viene spesso fatto notare che in molti altri Paesi europei - e nel mondo - le carriere di chi giudica e chi accusa sono già separate, e che l'Italia è un'eccezione in tal senso.

 

Come al solito.

 

La riforma, ovvero la separazione, valorizza la distinzione ontologica delle due funzioni, il PM è una "parte" (l'accusa, che esercita l'azione penale), mentre il giudice è l'arbitro super partes che deve decidere sulla base delle prove presentate.

 

La separazione cristallizza questa differenza anche nell'ordinamento.

 

Inoltre, la separazione impedisce il super io!

 

E già, l'esempio che segue è una situazione ipotetica ma plausibile all'interno dell'attuale ordinamento italiano, che illustra le criticità sollevate dai sostenitori della separazione delle carriere.

 

Non si tratta di un singolo "caso reale" specifico con nomi e cognomi, ma riflette le dinamiche di mobilità che la riforma intende eliminare.

 

Caso Ipotetico? Il Dott. Mino tra Milano e Bergamo!

 

Immaginiamo il percorso professionale del Dott. Mino, un magistrato che ha sfruttato la possibilità di passare dalla funzione requirente (Pubblico Ministero) a quella giudicante (Giudice) e viceversa, in diverse fasi della sua carriera.

 

Fase 1: Pubblico Ministero a Milano (Anni '90)

 

Il Dott. Mino inizia la sua carriera come Sostituto Procuratore della Repubblica a Milano. Conduce indagini complesse, firma richieste di rinvio a giudizio, partecipa alle udienze preliminari e rappresenta l'accusa in diversi processi. Durante questo periodo, sviluppa una profonda conoscenza delle dinamiche investigative e una "mentalità da PM", orientata solo alla ricerca della colpevolezza. (Anche se il codice non recita proprio così…)

 

Fase 2: Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) a Bergamo (Anni 2000)

 

Dopo alcuni anni, il Dott. Mino chiede e ottiene il trasferimento con cambio di funzione a Bergamo, a pochi chilometri da Milano, come Giudice per le Indagini Preliminari (GIP).

 

In questa nuova veste, si trova a dover decidere sulle richieste di custodia cautelare, intercettazioni e rinvio a giudizio presentate dai suoi ex colleghi (o colleghi dello stesso distretto).

 

Criticità?

 

Sebbene agisca in una sede diversa, si crea un potenziale conflitto di "cultura" o di imparzialità percepita.

 

Un avvocato difensore potrebbe sollevare dubbi sulla sua terzietà, sapendo che il giudice ha maturato anni di esperienza dalla parte dell'accusa.

 

In questo ruolo, il Dott. Mino si trova a valutare l'operato di PM che hanno una formazione “identica” alla sua.

 

E la storia cinofila c’insegna che fra cani …

 

Fase 3: Sostituto Procuratore Generale a Milano (Anni 2010)

 

Successivamente, il Dott. Mino torna a Milano con funzioni requirenti, come Sostituto Procuratore Generale presso la Corte d'Appello.

 

Ora si occupa di sostenere l'accusa nei processi di secondo grado.

 

Criticità?

 

Potrebbe trovarsi a gestire processi in cui le indagini preliminari erano state condotte da lui stesso anni prima come Sostituto Procuratore, o in cui le ordinanze di custodia cautelare erano state emesse da lui come GIP!!!

 

Buono no?

 

Anche in sedi diverse, la vicinanza geografica e l'interconnessione tra gli uffici giudiziari dello stesso distretto di Corte d'Appello rendono possibili queste situazioni.

 

E come gestirebbe come Sostituto Procuratore Generale presso la Corte d'Appello processi da lui stesso instaurati?

 

Che occhio equo, giusto ed imparziale avrebbe?

 

Fase 4: Giudice di Cassazione a Roma (Oggi)

 

Infine, il Dott. Mino approda alla Corte di Cassazione a Roma, la giurisdizione suprema, come giudice.

 

Qui esamina le sentenze di appello per verificarne la corretta applicazione del diritto.

 

Criticità?

 

A questo livello, pur non entrando nel merito dei fatti, la sua precedente esperienza come PM e PG potrebbe, secondo i critici, “influenzare la sua interpretazione delle norme processuali o sostanziali in senso più favorevole all'accusa”.

 

E non c’è bisogno di essere critici o esperti, un cittadino qualsiasi potrebbe rilevare ad occhio l’incompatibilità.

 

Sintesi delle criticità in casi come questo?

 

La preoccupazione principale, che alimenta le richieste di separazione delle carriere, non è tanto un singolo caso di incompatibilità formale (che il codice di procedura penale già prevede, ad esempio vietando che lo stesso magistrato sia PM e poi Giudice nello stesso grado o fase del procedimento), quanto piuttosto l'incompatibilità "ambientale" e "culturale".

 

La possibilità di cambiare funzione “mina” la percezione di terzietà e imparzialità del giudice, poiché quest'ultimo ha maturato esperienze significative nel ruolo di "parte" (l'accusa).

 

La circolazione delle funzioni nello stesso “distretto” è uno dei punti cardini dell’eccesso di potere.

 

Spesso, i trasferimenti avvengono in sedi limitrofe o all'interno dello stesso distretto, facilitando situazioni in cui un magistrato si trova a lavorare sugli esiti di indagini con cui ha avuto a che fare in un ruolo diverso in passato.

 

Ma come si può credere all’imparzialità?

 

Ma cose si può solo pensare all’imparzialità.

 

La riforma mira a risolvere queste “preoccupazioni” creando due percorsi professionali stagni fin dall'inizio, in modo che chi è PM lo sia per tutta la carriera e chi è Giudice lo sia per tutta la carriera.

 

E fine dei giochi!

 

E si, fine a questi giochi perché questi eccessi portano a decessi!

 

E si, la "malagiustizia" in Italia ha costi umani e finanziari elevati.

 

Le statistiche principali si concentrano sugli errori giudiziari e sulle ingiuste detenzioni, mentre è molto raro che i magistrati coinvolti paghino direttamente per i danni causati. 

 

Siamo nel 2025 e si stima che ogni anno in Italia circa 1.000 persone innocenti finiscano ingiustamente in carcere o subiscano un errore giudiziario (come una condanna definitiva poi revocata).

 

Sì, 1.000 all’anno!

 

Ovvero, 3 persone innocenti al giorno che vanno in galera!

 

Ma si, che vuoi che sia, in fondo 3 persone…

 

Allarghiamo la stima?

 

Dal 1991 al 2024, si contano oltre 31.900 casi complessivi di risarcimento per ingiusta detenzione ed errori giudiziari riconosciuti dallo Stato.

 

Lo Stato italiano paga in media circa 28-30 milioni di euro all'anno in indennizzi e risarcimenti alle vittime.

 

La spesa totale dal 1991 ha superato 1 miliardo di euro.

 

Ovviamente, ed era scontato, non esistono “statistiche ufficiali” consolidate sul numero esatto di decessi direttamente imputabili a errori giudiziari o alle conseguenze fisiche e psicologiche dell'ingiusta detenzione.

 

Tuttavia, le storie delle vittime evidenziano le profonde sofferenze, la perdita di anni di vita e i danni psicologici spesso irreparabili, che in alcuni casi estremi possono portare a conseguenze fatali.

 

Ed eccolo il punto più critico e riguarda la responsabilità personale dei magistrati.

 

Nonostante il gran numero di risarcimenti pagati dallo Stato, i casi in cui i magistrati sono stati concretamente condannati a risarcire lo Stato per danno erariale sono estremamente rari.

 

Si parla di poche decine di magistrati condannati civilmente in decenni.

 

E si parla di “danno erariale” ovvero, della perdita patrimoniale subita dallo Stato o da un altro ente pubblico a causa di dolo - o colpa grave - di un funzionario o amministratore pubblico, non si parla di “risarcimenti” diretti alle vittime di malagiustizia.

 

La legge sulla responsabilità civile dei magistrati, infatti, prevede che le vittime chiedano il risarcimento allo Stato (Presidenza del Consiglio dei Ministri).

 

Successivamente, lo Stato può rivalersi (entro certi limiti) sul magistrato solo in caso di dolo o colpa grave.

 

Questo meccanismo fa sì che, nella stragrande maggioranza dei casi, sia la collettività a pagare il conto finale.


Pantalone ...

 

E c’è chi ancora difende questo sistema fallace e ristagnante?

 

Nossignori, la separazione delle carriere non è necessaria, è vitale.

 

Ma quello che ci lascia perplessi non è il “Comitato per il SI” coordinato da Avvocati e cittadini in relazione al referendum quanto l’ANM che lancia il “Comitato per il No” con tanto di Presidente onorario, il Costituzionalista Dott. Enrico Grosso.

 

E dopo il Comitato l’ANM rincalza la dose con dichiarazioni tipo: “Non facciamo politica, è il governo che cerca lo scontro”.

 

Non facciamo politica?

 

Proprio il Dott. Enrico Grosso ha esordito con: “Ho accettato con entusiasmo perché credo profondamente che questa sia e debba essere la battaglia dei cittadini, e non possa essere la battaglia dei magistrati contro il governo: forse è il governo che vorrebbe trascinare la magistratura su questo piano”. 

 

L’ANM (Associazione Nazionale Magistrati) è formalmente un’associazione di categoria, come un sindacato.

 

Rappresenta i magistrati ordinari e, in teoria, dovrebbe occuparsi di tutela professionale, condizioni di lavoro e difesa dell’indipendenza della magistratura.

 

Fin qui tutto legittimo.

 

L’ANM può replicare pubblicamente ogni volta che ritiene la magistratura attaccata o delegittimata, come fa qualunque associazione.

 

Ma - ed è il punto critico - quando interviene su temi politici o istituzionali, esce dai limiti della rappresentanza tecnica e scivola nel terreno del potere.

 

E qui la legittimità si fa abbastanza discutibile.

 

Di fatto l’ANM ha un peso politico enorme, ben superiore a quello formale.

 

Perché “condiziona” le scelte del CSM, “influenza” le nomine e soprattutto “orienta” il dibattito pubblico.

 

Condizione.

 

Influenza.

 

Orienta.

 

Non sembrano aggettivi adatti ad una semplice associazione di categoria.

 

Ogni dichiarazione dell’ANM viene trattata dai media come se fosse una posizione “istituzionale”, mentre invece è solo quella di un’associazione privata.

 

In pratica, parla come un organo di Stato ...senza esserlo!

 

Però ne ha lo stesso peso!

 

Come mai?

 

Come mai si comporta come un partito?

 

E forse abbiamo centrato il bersaglio.

 

Forse abbiamo colto il punto con la frase “si comporta come un partito”.

 

È proprio così.

 

L’ANM non è un partito, ma si muove come tale, ha correnti interne, linee ideologiche, strategie di comunicazione, alleanze e avversari.

 

E difende il proprio potere come farebbe un soggetto politico, non un organismo tecnico.


Quando un’associazione di magistrati entra nel campo delle scelte legislative o costituzionali - come accade quando si schiera apertamente contro una riforma o un referendum - sta facendo politica, non giustizia.

 

E chi dovrebbe controllare questa associazione?

 

No.

 

Non è più tempo di fidarsi.

 

Non è più tempo di aspettare.


La giustizia italiana è diventata un fortino di privilegi, protetto da chi predica moralità ma vive al riparo da ogni giudizio.


E mentre la gente paga, soffre e aspetta, loro continuano a chiamarla “indipendenza”.

 

La verità è che un potere senza controllo non è indipendente: è pericoloso!

 

E non sapete quanto cazzo è pericoloso!!!


Quando la legge non vale per tutti, non è più legge - è dominio.

 

O si cambia, o si crolla.

 

Perché una giustizia senza giustizia è la più grande condanna di un Paese.

 

Andava detto.


Schiribibodi...



a cura di Mino e Fidi@s


(image Ajel by Pixabay and mix OP)

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