SEPARAZIONE CARRIERE: Subito!
- oposservatoriopoli
- 12 nov
- Tempo di lettura: 5 min
Non c’è più tempo…
Perché serve subito la separazione delle carriere?
In Italia la giustizia è ostaggio di un cortocircuito che dura da decenni: chi accusa e chi giudica appartengono allo stesso corpo, la stessa casta, lo stesso circuito di potere.
Non basta?
Pubblici ministeri e giudici siedono nello stesso Consiglio Superiore, si scambiano ruoli, si coprono a vicenda.
Ancora non basta?
È come se l’arbitro e l’attaccante giocassero nella stessa squadra.
Va meglio così?
Senza una separazione netta delle carriere, non esiste garanzia per nessuno: né per l’imputato, né per la vittima, né per la verità.
Oggi più che mai, serve un taglio chirurgico che restituisca indipendenza alla giurisdizione e responsabilità all’accusa.
Ancora non siete d’accordo?
Allora siete conniventi o fate parte di quel sistema.
I telegiornali di ieri lo hanno mostrato senza più veli: migliaia di processi che si trascinano per anni, cittadini e imprese strozzati da una giustizia lenta, errori giudiziari pagati con soldi pubblici, famiglie distrutte, reputazioni bruciate.
Lo Stato risarcisce - cioè paghiamo noi - ma il giudice che ha sbagliato non paga mai, non risponde, non chiede nemmeno scusa.
E questo sistema ha ancora il coraggio di parlare di “autonomia”.
È un insulto.
Un Paese civile non può più tollerare che l’errore diventi prassi, che l’arroganza si travesta da legalità e che la casta giudiziaria continui a vivere fuori da ogni responsabilità.
La giustizia non è un tempio sacro per pochi eletti: è un servizio pubblico, e chi lo tradisce va rimosso, non promosso.
Altro che indipendenza: questo è uno schifo, e va spazzato via fino all’ultimo granello di polvere.
E basta con la favoletta dell’indipendenza, perché di indipendenza ne hanno avuta anche troppa: dopo il fascismo, i costituenti vollero una magistratura libera dal potere politico, per evitare che fosse di nuovo sottomessa al governo (come accadeva sotto il regime).
Nacque così il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), organo di autogoverno che gestisce carriere, nomine e sanzioni dei magistrati.
L’idea era nobile: tutelare l’indipendenza della giustizia.
Ma, mancava una cosa: la separazione delle carriere tra chi giudica (giudici) e chi accusa (pubblici ministeri).
Ed è lì che si è infilato il virus.
Si, perché la mescolanza della magistratura è un virus e come tale miete vittime, crea malati e parecchi morti.
E l’unico vaccino è la separazione delle carriere.
Chi giudica deve essere imparziale, chi accusa deve rispondere del proprio operato.
Solo così la giustizia smetterà di essere un terreno di lotta politica e tornerà a essere ciò che dovrebbe: la difesa dei diritti, e non delle correnti.
Con la nascita delle correnti interne al CSM (Magistratura Democratica, Unità per la Costituzione, ecc.), la magistratura comincia a dividersi per ideologia.
Questo non è possibile.
Una parte si schiera a sinistra, un’altra più moderata, ma il risultato è lo stesso: le nomine e le carriere non si basano più solo sul merito, ma sull’appartenenza di corrente.
È l’inizio di un sistema chiuso e autoreferenziale che diventa sempre più potente.
E che altra indipendenza vogliono?
Quella di essere al di sopra della legge?
Così, già lo sono.
Sarebbe ora di riportare questi semplici impiegati statali a più miti consigli perché ad oggi, si sentono “Efori” e si comportano come tali.
Nossignori, non sono divinità, sono solo impiegati statali che a volte dimenticano il ruolo per il quale hanno assunto il loro incarico pubblico: servire lo Stato e non comandarlo.
Ma da decenni, in Italia, una parte della magistratura ha smesso di amministrare la giustizia e ha iniziato a gestire il potere.
Decide chi deve essere “colpito” e chi deve essere “salvato”, chi può parlare e chi deve tacere.
Si muove come una casta autonoma, intoccabile, protetta da sé stessa e da un sistema di correnti che somiglia più a un partito occulto che a un organo di garanzia.
E ogni volta che si tenta di riformarla, scatta il ricatto morale: “volete indebolire la giustizia”.
No, la si vuole ripulire, renderla trasparente, restituirla ai cittadini.
Perché chi indossa la toga non è al di sopra della legge - è dentro la legge, come tutti gli altri.
E se non accetta di esserlo, non difende la giustizia: la tradisce!
Nel 1992–93, con Tangentopoli, la magistratura - soprattutto quella milanese - assume un ruolo politico diretto: non controlla il potere, lo sostituisce.
Le toghe diventano protagoniste, gli inquirenti finiscono in TV, e chi osa criticarli viene accusato di voler “delegittimare la giustizia”.
Il principio della separazione dei poteri, di fatto, salta: una parte della magistratura entra nella lotta politica a pieno titolo.
Negli ultimi vent’anni, il potere interno del CSM è diventato un sistema a sé, fatto di scambi di favori, nomine pilotate e logiche di corrente.
Il caso Luca Palamara (ex presidente ANM) nel 2019 ha svelato tutto: chat compromettenti, spartizione di incarichi, pressioni politiche, manovre per favorire o affossare magistrati “scomodi”.
La magistratura non solo è autonoma: è diventata una corporazione che si giudica da sola.
Chi parla di separare le carriere, responsabilizzare i magistrati o cambiare il CSM viene visto come un “nemico”.
Perché in realtà, oggi, la magistratura italiana è un potere senza contrappesi reali: non risponde a nessuno, si divide per clan, e influenza la politica e i media.
Una vera anomalia europea la nostra, ma si sa, l’Italia è il Paese dei paradossi: dove chi dovrebbe garantire equilibrio diventa potere, dove chi giudica non accetta di essere giudicato.
In nessun altro Stato europeo accade che accusa e giudizio convivano nella stessa corporazione, che i magistrati si eleggano da soli, si promuovano a vicenda, si autoassolvano.
Qui sì.
Qui è normale.
E guai a chi prova a metterci mano: viene subito accusato di “attentare all’indipendenza della magistratura”, quando, in realtà, cerca solo di restituire indipendenza alla giustizia.
È questa la nostra anomalia: uno Stato in cui la legge è uguale per tutti - tranne per chi la interpreta.
Basta ipocrisie e basta inchini.
E che cazzo.
Questa non è indipendenza: è impunità travestita da garanzia costituzionale.
La magistratura italiana si è costruita un “fortino” dove “chi sbaglia non paga”, dove il potere giudiziario si fa politico, e dove il cittadino diventa suddito di chi dovrebbe difenderlo.
Ogni scandalo viene archiviato, ogni abuso coperto dal silenzio delle correnti e dal timore della politica.
È ora di dire le cose come stanno: nessuno è al di sopra della legge, men che meno chi la applica.
Chi indossa la toga non è un Dio, è un funzionario dello Stato.
E se dimentica di esserlo, allora è lo Stato che deve ricordarglielo con una riforma vera, immediata, brutale.
Separazione delle carriere, responsabilità civile, valutazioni trasparenti e fine delle correnti: solo così la giustizia tornerà ad appartenere al popolo, e non alla casta.
E se lo diceva anche un certo Giovanni Falcone...addormiteve...
a cura di Mino e Fidi@s

(immagine di repertorio web)









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