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OP Osservatorio Politico

SALIS: PUGNI CHIUSI IN FACCIA ALLA LEGGE!

  • oposservatoriopoli
  • 8 ott
  • Tempo di lettura: 5 min

Si  salva in calcio d’angolo... tirato  dall’arbitro!


Quando la legge piega (o piaga) il tempo: il caso che scuote la fiducia nella giustizia italiana ed europea.

 

La recente sentenza che ha applicato retroattivamente una norma in favore dell’imputata riaccende il dibattito sull’indipendenza dei tribunali e sull’uso politico del diritto in Europa.

 

C’è un limite sottile tra interpretare la legge e piegarla a proprio piacimento.

 

Quando una norma, nata per garantire giustizia, viene estesa oltre il suo ambito naturale - persino retroattivamente - quel limite cede.

 

È quanto accaduto in un recente caso giudiziario europeo, che molti giuristi considerano un campanello d’allarme: la legge, invece di essere bussola neutrale, è diventata strumento di opportunità politica.

 

La retroattività, un principio vietato, eccezione pericolosa per la Salis!

 

Nel diritto penale il principio di irretroattività della legge è sacro, nessuno può essere giudicato secondo una norma entrata in vigore dopo i fatti.

 

Ve lo ripetiamo o lo avete capito?

 

È una delle garanzie fondamentali dello Stato di diritto, sancita tanto dalle costituzioni nazionali quanto dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.


Eppure, la giurisprudenza recente mostra un trend ambiguo, in alcuni casi, norme o interpretazioni favorevoli vengono applicate a posteriori, con la giustificazione del “favor rei”.

 

In altri, la linea sottile tra interpretazione ed eccezione diventa confine mobile, dove il diritto si piega al clima politico.

 

Un clima che da sinistra, vuole annebbiare i diritti degli altri.

 

In questo scenario, la pressione dell’opinione pubblica e dei partiti si fa sentire.

 

 Le cause che coinvolgono figure simboliche - attivisti, politici o personaggi divisivi - non si decidono più solo nelle aule dei tribunali, ma anche sui social e nelle redazioni.


Il rischio è che la giustizia perda la sua forma più pura: l’imparzialità.


Quando una sentenza appare calibrata per non scontentare una parte politica o per “dare un segnale”, la fiducia collettiva nelle istituzioni vacilla.

 

L’Europa, che da decenni si presenta come modello di garanzie e diritti, si trova così davanti a una contraddizione: il diritto è uguale per tutti, ma non sempre applicato allo stesso modo.

 

L’Unione Europea vigila sugli Stati membri in materia di stato di diritto, ma non sempre applica a sé gli stessi criteri di trasparenza.


La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e la Corte di Giustizia dell’UE sono organi fondamentali, ma spesso lenti, politicizzati o incoerenti nelle loro decisioni. Il risultato è una crescente disillusione: se le corti possono “interpretare” in senso politico, chi garantisce che la giustizia resti imparziale?


Molti giuristi parlano apertamente di una crisi di legittimità giudiziaria: non perché le leggi manchino, ma perché la loro applicazione sembra variare in base a contesto e convenienza.

 

Grazie alla Salis, eccola la ferita alla credibilità …

 

Ogni volta che un tribunale appare come braccio di un’ideologia, anziché come difensore del diritto, il danno non è solo morale.

 

È sistemico.


L’idea stessa di “giustizia europea” si basa su regole comuni e principi inviolabili; se queste regole diventano elastiche, l’Unione perde una delle sue fondamenta più solide.

 

Non serve essere giuristi per comprenderlo: senza la certezza del diritto, non c’è fiducia; senza fiducia, non c’è coesione.

 

Il caso che ha riaperto il dibattito sulla retroattività non è solo una controversia legale: è un segnale politico!

 

E il segnale arriva dritto dritto dalla sinistra: se sei di sinistra puoi …


L’Europa deve decidere se vuole restare uno spazio di diritti uguali per tutti o diventare un mosaico di interpretazioni opportunistiche.


La legge, per definizione, adesso è cieca …

 

Ma quando chi la applica decide di “vedere”, di distinguere, di favorire o di proteggere, allora non è più giustizia - è potere con la toga addosso.

 

La vogliamo dire tutta?

 

Prima la salvano dalla giustizia Ungherese Fratoianni e Bonelli, Conte al seguito e compagnia cantando.

Poi parte il cross di Antonio Tajani per Forza Italia (la nuova DC…) che non la reputa una terrorista ma poi fa un passo indietro perché si accorge che in patria, la sua patria, il suo modo di fare diventa scomodo e tenta il riparo.

Ma poi ecco spuntare Ilhan Kyuchyuk, al secolo Ilhan Ahmet Kyuchyuk, Membro del Parlamento europeo legato al partito Movimento per i Diritti e le Libertà che, nella veste di arbitro e non di giocatore di questa partita si lancia in aiuto della Salis all’ultimo secondo, poco prima del proprio fischio di fine partita da un processo in cui è accusata e imputata di lesioni gravi ai danni di neonazisti e di associazione a delinquere.

 

Non è un trionfo dell’antifascismo, come qualcuno ha proclamato a pugno alzato, ma una sconfitta del principio di uguaglianza davanti alla legge.


Ricordiamo, infatti, che l'immunità serve a tutelare un parlamentare dal "humus persecutionis", ma nel caso della Salis non poteva esistere in quanto il reato è stato commesso prima della sua elezione ad eurodeputata.

 

L’immunità parlamentare, nata per difendere la libertà politica, è diventata oggi uno scudo di comodo, un rifugio per chi si nasconde dietro i simboli e le ideologie per evitare un processo come qualsiasi altro cittadino.


In Europa, dove ogni giorno si parla di trasparenza e di diritti, un voto segreto ha deciso che la giustizia può aspettare, che l’appartenenza politica pesa più delle accuse, che un’aula elettiva può sovrastare un’aula di tribunale.

 

La retorica della “resistenza” e della “lotta antifascista” usata per commentare il risultato rischia di confondere tutto: non è in gioco l’antifascismo, ma la credibilità delle istituzioni.


Difendere la legge non significa cedere alla vendetta, ma nemmeno piegarsi all’opportunità politica.

 

Quando un Parlamento si arroga il diritto di stabilire chi può o non può essere giudicato, il principio di separazione dei poteri diventa carta straccia.

 

Tutto questo darsi da fare ci ricorda i tempi bui dell’Italia nella quale “uccidere un fascista non era reato” e, a quanto pare, questa regola ancora vale, ma in tutta Europa!

 

Con un solo voto, Strasburgo ha scelto una direzione pericolosa: la giustizia condizionata dal consenso, la morale sostituita dal calcolo.


E se l’Europa è davvero “antifascista”, come proclama, dovrebbe ricordare che il primo passo verso ogni autoritarismo non è il manganello - è la legge che smette di valere per tutti allo stesso modo.

 

E la Salis, impunita e sorridente, in faccia a tutti, al popolo ungherese, al popolo italiano e alla legge, alza il pugno sinistro in segno di vittoria, quella stessa “vittoria” che ci vuole far digerire la signora Albanese, stessa pasta, stessa ideologia, stesso pugno alzato.

 

Speriamo che a breve non brandiscano martelli o chiavi inglesi dentro quei pugni chiusi perché altrimenti la cosa si fa seria … 

 

Tutto questo, senza capire l'errore grossolano che si sta commettendo...

 

Ci piace ricordare una frase di Golda Meir...di tanto tempo fa...

"Se gli arabi deponessero le armi oggi, non ci sarebbe più violenza. Se gli ebrei deponessero le loro armi oggi...non ci sarebbe più Israele..."


a cura di Mino e Fidi@s


(image mix dal web)

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