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OP Osservatorio Politico

“Operazione obscura”: ammazzate Carmine Pecorelli.

  • oposservatoriopoli
  • 9 set
  • Tempo di lettura: 7 min

(Rimane sempre da capire il vero perché...)


Roma, 20 marzo 1979.Poco dopo aver lasciato la redazione del settimanale Op - Osservatorio Politico, il giornalista Carmine “Mino” Pecorelli viene assassinato in via Orazio.

 

Sono circa le 20.45 quando, mentre sta avviando la manovra per uscire dal parcheggio con la sua Citroën CX Pallas 2200, "un uomo con un impermeabile chiaro" si avvicina al finestrino e apre il fuoco con una pistola calibro 7,65 dotata di silenziatore.

 

I colpi esplosi sono quattro: due proiettili di marca Fiocchi e due Gevelot, questi ultimi molto rari in Italia.

Quindi...sono in due a sparare?

Un dubbio questo, come tutti gli alri dubbi che si sarebbero potuti dissipare eseguendo la perizia balistica sulla pistola usata per uccidere Mino.

Una pistola Beretta calibro 7,65, munita di silenziatore.

Nel 1995, durante un'operazione a Cologno Monzese, fu sequestrata una pistola Beretta 7,65 insieme a quattro silenziatori artigianali.

Questa pistola era stata precedentemente associata a Domenico Magnetta, un esponente di Avanguardia Nazionale.

Secondo quanto riferito dall'ex terrorista Vincenzo Vinciguerra, l'arma del delitto di Pecorelli era stata consegnata a Magnetta.

Tuttavia, nel 2013, la pistola fu distrutta, rendendo quindi impossibile un confronto balistico con i proiettili recuperati dalla vittima.

O meglio, con le ogive recuperate dal corpo della vittima, perché i bossoli, depositati nel magazzino corpi di reato del tribunale di Perugia sono scomparsi.

Quindi, ricapitolando, rimangono 4 ogive, sono spariti i 4 bossoli depositati nel magazzino corpi di reato del tribunale di Perugia così com’è sparita la pistola, anzi distrutta (non si sa perché, né da chi) che per logica doveva essere custodita all'ufficio 'corpi di reato' del tribunale di Monza.

Le cose “custodite” nei magazzini interni ai Tribunali di Perugia e Monza spariscono - oppure vengono distrutte - e per una perizia balistica ci si accontenterà delle fotografie!

Sempre se mai si troveranno le foto con le relative “prove” di sparo, le ricerche continuano ormai dal 2019!

Quindi torniamo a noi, Pecorelli viene raggiunto alla bocca, alla testa e al torace.

 

Il corpo senza vita viene trovato pochi minuti dopo, riverso sul sedile anteriore dell’auto con la portiera spalancata.

 

Da questa macabra scena riparte la nostra storia …

Il corpo di Carmine Pecorelli venne successivamente spostato dalla sua segretaria di redazione, Franca Mangiavacca, che quella sera era uscita con lui dalla sede di Op e si era separata poco prima dell’agguato.

 

La stessa Mangiavacca toccò anche i bossoli dei proiettili, alterando in questo modo la scena del crimine.

 

L’indagine fu affidata ai magistrati di turno, Giancarlo Mauro e Domenico Sica, che procedettero alle perquisizioni nell’abitazione e nell’ufficio del giornalista.

 

Nel corso dell’inchiesta emersero i nomi di Massimo Carminati, Licio Gelli, Antonio Viezzer, Cristiano e Valerio Fioravanti.

 

Tutti furono però prosciolti il 15 novembre 1991 con la formula “per non avere commesso il fatto”.

 

Le incriminazioni, in particolare nei confronti di Viezzer, Fioravanti e Gelli, erano scattate a seguito delle dichiarazioni rese da un pentito dell’estrema destra: Valter Sordi.

 

Iniziano così i mille fascicoli d’indagine, ma …

Nell’ottobre del 1987, in piena istruttoria, succede un fatto che contribuisce a far affondare l’inchiesta.

 

Il reperto contenente i bossoli rinvenuti sul luogo dell’omicidio viene manomesso e uno dei bossoli Gevelot sostituito!

Chi poteva fare questa manovra?

 

E sopratutto...cui prodest?

 

In un’udienza del processo a Perugia, i periti balistici confermano il contenuto di una consulenza compiuta nel 1984 durante la quale vennero fatto il confronto fra i proiettili ”Gevelot”, trovati nel deposito, e quelli utilizzati per uccidere Pecorelli. Dalla perizia, basata soprattutto sullo stato di usura del punzone, ”emerge - riferisce la procura di Perugia - che i due proiettili ‘Gevelot’, utilizzati per uccidere Pecorelli provenivano dallo stesso lotto di cartucce al quale appartenevano anche i proiettili sequestrati presso il Ministero della Sanità’.

 

Va ricordato che nell’arsenale scoperto all’interno del Ministero della Sanità, in via Listz a Roma, e custodito da un complice in servizio presso l’ente, confluivano armi provenienti sia dalla Banda della Magliana sia dai NAR.

Questi ultimi, a loro volta, si rifornivano anche attraverso la ’ndrangheta, canale che in seguito sarà utilizzato anche dalle Brigate Rosse e da altre organizzazioni eversive di minore entità.

 

Troppe sigle tutte assieme queste ...

 

Nell’omicidio di Pecorelli non c’è un cavallo pazzo, non c’è uno scatto solitario, non c’è una singola mano che uccide, si consolida invece, la mano di una struttura assolutamente riservata artefice e coinvolta sia nell’omicidio Pecorelli che nel caso Moro, così come in molti altri episodi, una struttura che operava su un piano molto distinto e separato rispetto agli altri “collaboratori” assunti per realizzare i tasselli di un mosaico ben più grande del singolo omicidio, sequestro o della singola strage.

 

Ma perché ammazzare Pecorelli?

 

È vero che forse tutti lo volevano morto ma all’epoca, tutti lo volevano vivo, da vivo Pecorelli era una delle più grandi risorse informative del sistema politico internazionale.

 

Forse si era spinto troppo in là, forse troppo oltre, si apprende che dalla rilettura degli atti processuali e delle dichiarazioni di Paolo Patrizi, stretto collaboratore di Carmine Pecorelli, emergono tre filoni sui quali il direttore di Op stava attendendo documentazione riservata e inedita prima di essere ammazzato.

 

Il primo riguardava il memoriale Arcaini, legato a Giuseppe Arcaini, direttore dell’Italcasse, il cui scandalo anticipò di oltre quindici anni le dinamiche di Tangentopoli.

 

Il secondo era il memoriale di Michele Sindona, banchiere e faccendiere riconosciuto come il mandante dell’omicidio di Giorgio Ambrosoli, che stava indagando sul suo sistema finanziario.

 

Il terzo, definito come “qualcosa di grosso”, era collegato ad Aldo Moro e al sequestro di via Fani.

 

Ma Pecorelli aveva già pubblicato “anticipazioni” su alcune pagine del memoriale Moro.

 

Secondo quanto riferito da Patrizi agli inquirenti il 22 marzo 1979, il documento più rilevante sarebbe dovuto arrivare da Milano.

 

A consegnarlo era attesa una persona che inizialmente avrebbe dovuto prendere un aereo, ma che, a causa di uno sciopero, scelse poi di viaggiare in treno.

 

Sull’identità di questa fonte e sul contenuto dei materiali Patrizi dichiarò di non avere informazioni.

 

Aggiunse inoltre che Pecorelli non condivideva con la redazione i dossier più delicati e potenzialmente pericolosi, teneva per sé il segreto del potenziale pericolo e forse così, ha salvato la vita a molti suoi collaboratori.

 

C’è qualcosa in quella data che si ostina a tornare sul tavolo di chi legge le carte processuali.

 

Nel 1979, l'Italia era nel pieno degli "anni di piombo", un periodo di violenza politica, lotta armata e terrorismo.

 

Eventi eversivi includevano: l'omicidio di Guido Rossa il 24 gennaio a Genova da parte delle Brigate Rosse e il crescente coinvolgimento di gruppi eversivi come l'Autonomia Operaia.

 

Questa atmosfera di eversione contribuì a destabilizzare il paese, portando a un aumento del terrorismo e della violenza politica. 

 

L'intensificarsi della violenza politica eversiva ebbe un impatto significativo sulla società italiana, contribuendo a un clima di instabilità e paura e “Mino” era lì in mezzo, al centro di questo uragano di piombo e bombe e inchieste di cronaca, fermo e deciso a scrivere, a rivelare, a garantire l’informazione coerente.

 

Sempre nel 1979 in Italia non emerge un singolo "politico eversivo" ma l'anno è segnato dall'attività di gruppi eversivi e dalla crescente preoccupazione per la minaccia portata da tali organizzazioni allo Stato.

 

Il terrorista neofascista Valerio Fioravanti, figura di spicco dei Nuclei Armati Rivoluzionari, fu attivo in quegli anni, e la loggia massonica P2 veniva vista come una minaccia eversiva per il suo progetto di infiltrazione nelle istituzioni e di autoritarismo anticomunista.   

 

E “Mino”, sempre al centro.

 

Nel 1979 non ci furono "stragi" nel senso di grandi attentati come quelli della strage di Piazza Fontana (1969) o della strage di Bologna (1980), ma il 1979 fu un anno cruciale per i processi legati al terrorismo e all'eversione.

 

Il 1979 vide la conclusione del processo di primo grado per la strage di Piazza Fontana con condanne che furono poi annullate in appello, e gli arresti di esponenti di estrema destra come Freda e Ventura in Costa Rica e Argentina, segnando una fase delicata di indagine sui mandanti e sui depistaggi dei servizi segreti.

 

Lo Stato di allora barcollava, la stabilità politica oscillava, il PCI si faceva scudo con la forza dei paesi dell’Est Europa, gli USA spingevano in casa unitamente alla NATO, e la gestione di questi processi (internazionali) continuò a essere un punto critico, mettendo in luce le difficoltà dello Stato nel ricostruire interamente la verità sulla strage di Piazza Fontana e sul ruolo di settori deviati dei servizi segreti.

 

La lotta alla criminalità organizzata, al terrorismo di destra e di sinistra e i processi di epurazione dei servizi segreti furono centrali nel dibattito pubblico e politico italiano per tutta quella decade, 1970 -1980.

 

E Carmine era lì, al centro dell’occhio del ciclone, un ciclone che spesso foraggiava con articoli al vetriolo che non lasciavano spazio d’azione, interpretazioni o vie di fuga ai potenti dell’epoca, tanto che …

 

La nostra idea è che Mino Pecorelli fu ucciso perché era un giornalista investigativo molto scomodo che aveva denunciato corruzione e malcostume e attaccato i poteri forti, incluso Giulio Andreotti, e stava indagando su informazioni legate ai preparativi della strage di Bologna.

 

Le sue indagini rivelarono anche episodi legati al memoriale di Moro, che Pecorelli rilanciò sulle colonne del suo giornale "OP".   

 

Non era possibile lasciarlo vivere, tutti lo volevano vivo, è vero, ma ipotizziamo che in molti avevano iniziato a volerlo morto e per un alogica investigativa seria e circostanziale, proprio come abbiamo da poco indicato nell’articolo dei “pentiti a retrocarica”, rivedere le testimonianze e confrontarle con gli strumenti moderni di analisi psicologica del comportamento criminale, per identificare i tratti distintivi del colpevole potrebbe essere interessante e in particolare, il profilo potrebbe suggerire collegamenti con gruppi o individui che avevano accesso o interesse nel silenziare Pecorelli.

 

E all’epoca, il cerchio dei gruppi e degli individui che avevano accesso o interesse nel silenziare Pecorelli si stringe di parecchio, lo Stato (deviato), la malavita e il terrorismo, che a volte si sovrapponevano per interessi e ruoli, sono i maggiori indiziati, ora bisogna solo gettare tutto sul tavolo investigativo e poi scartare per logica il superfluo e mano a mano si arriverà alla verità.

 

Dobbiamo tornare a Mastermind.

 

Ve lo ricordate il gioco da tavolo astratto di crittoanalisi per due giocatori, in cui un giocatore, il "decodificatore", deve indovinare il codice segreto composto dal suo avversario, detto "codificatore"?

 

Ecco, facendo finta che sia un gioco l’indagine diverrebbe più fluente e decisa.

 

Ah! Dimenticavo...

 

Per una strana coincidenza, quell’allora moderno gioco con pioli fu inventato nel 1970 da Mordecai Meirowitz.

 

Un “esperto di telecomunicazioni” israeliano . . .

 

Articolo cura di Fidi@s1970 - Member 20643 * GNS Press Association


(immagine di repertorio)

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IL MOTTO SCELTO PER OP (Mino Pecorelli)

"Comment is free, but facts are sacred. Comment also is justly subject to a selfimposed restraint. It is well to be frank. It is even better to be fair. This is an ideal."

È una frase di C.P. Scott, direttore del Guardian per 57 anni, dal 1873 al 1930.

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