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NATALE: la tredicesima...e Gratteri...

  • oposservatoriopoli
  • 1 giorno fa
  • Tempo di lettura: 7 min

Già, con l’arrivo delle tredicesime per 36 milioni di italiani c’è da grattare.


Circa 16,3 milioni di pensionati inizieranno a ricevere la tredicesima mensilità, che entro Natale sarà corrisposta anche a 19,7 milioni di lavoratori dipendenti del settore pubblico e privato.

 

42 miliardi di euro di tredicesime.

 

La tredicesima, oltre ad essere una tradizione storica, incentiva il consumo.

 

Tutto vero.

 

La tredicesima ha origini in Italia già a partire dal 1937, durante il fascismo, con una legge che obbligava le aziende a pagare un "salario natalizio" a fine anno.

 

Era una misura per stimolare i consumi durante il periodo natalizio e migliorare il benessere delle famiglie lavoratrici.

 

Questa tradizione è rimasta anche dopo la fine del regime fascista.

 

E diciamocelo, questo ricordo del fascismo, a quanto pare, nessuno lo contesta...

 

La tredicesima rappresenta anche un riconoscimento del lavoro svolto durante l'anno.

 

È come una sorta di "bonus" che premia il dipendente per il suo impegno, anche se formalmente è una parte dello stipendio che viene scaglionata in un'altra mensilità.

 

E come la tredicesima c’è anche il Premio di Produttività per i dipendenti della Pubblica Amministrazione.

 

Il premio “produzione” è una forma di incentivo economico legato ai risultati individuali o collettivi raggiunti dai lavoratori nell'ambito della loro attività professionale.

 

Questi premi sono legati alla performance, ma sono soggetti a regolamentazioni specifiche che variano in base alla normativa pubblica e ai contratti collettivi applicabili.

 

Tecnicamente se sei dipendente pubblico lo “acciuffi” anche se non fai un cazzo.

 Ad esempio, se ti sei dato malato quasi tutto l’anno o se sei stato a scaldare la sedia facendo il minimo sindacale, lo “acchiappi” alla pari di un tuo collega che si è fatto il culo tutto l’anno e che non è mancato un giorno.

 

Spesso, i premi di produttività nella P.A. sono erogati su base collettiva, cioè a livello di interi uffici, reparti o enti.

 

In questo modo, anche se un singolo dipendente non ha mostrato particolari risultati, l'intero gruppo può ricevere lo stesso incentivo. Il problema è che, se i criteri di valutazione non sono ben definiti, chi non contribuisce attivamente al miglioramento del servizio finisce comunque per godere dei benefici.

 

La pubblica amministrazione, per sua natura, è più complessa da valutare rispetto a un'azienda privata, perché i risultati non sono sempre facili da misurare.

 

Tuttavia, quando i criteri di valutazione sono poco chiari o non vengono applicati in modo equo, chi si impegna meno finisce per "prendere" lo stesso premio di chi lavora con impegno.

 

Questo crea frustrazione e demotivazione tra i dipendenti più diligenti.

 

E se invece il dipendente sbaglia un lavoro, un lavoro che porta un danno enorme?

 

Che si fa?

 

Niente tredicesima e niente premio produzione?

 

Si parla tanto di tagli, riduzioni, di fare economia, diminuzioni, restringimenti e poi?

 

Il ponte che non s’ha da fare e poi?

 

E poi, ad esempio, viene fuori il caso della maxi inchiesta“Stige” e il suo esito rappresentano un fallimento significativo per la giustizia italiana, e in particolare per l'operato del procuratore Nicola Gratteri e della magistratura coinvolta.

 

La sentenza della Corte di Cassazione, che ha rigettato le principali tesi accusatorie e confermato una condanna di soli 20 imputati su 169 arresti, solleva una serie di interrogativi seri sulla conduzione dell'inchiesta e sull'efficacia delle operazioni di polizia e giustizia.

 

E poi?

 

Gratteri aveva definito l'operazione "Stige" come "la più grande operazione degli ultimi 23 anni", destinata a diventare un modello di riferimento per la magistratura, un esempio di lotta contro la 'ndrangheta che sarebbe stato "portato nelle scuole di giustizia".

 

Il suo trionfalismo iniziale, che aveva alimentato aspettative e creato una grande visibilità mediatica, ora appare come un clamoroso boomerang.

 

Cosa è rimasto di quella grande operazione?

 

Pochi condannati e un'intera narrativa demolita dalla Cassazione.

 

Quando si lancia un'inchiesta di questa portata, con accuse così gravi - la commistione tra criminalità organizzata e politica - il rischio di non riuscire a dimostrare le accuse è alto.

 

E questo è esattamente ciò che è successo: le fondamenta dell'inchiesta sono crollate sotto il peso delle prove insufficienti.

 

Però si è andati avanti lo stesso.

 

La Corte di Cassazione ha bocciato l'ipotesi di un intreccio tra politica e criminalità che aveva rappresentato il cuore dell'inchiesta.

 

Questo aspetto è particolarmente grave, perché suggerisce che le indagini siano state condotte con un focus sbagliato o, peggio, che siano state mosse da una strategia di "colpire e sperare", senza una base solida di prove.

 

La giustizia non può permettersi di basarsi su accuse vaghe o su intuizioni che si rivelano infondate, come sembra essere stato il caso in questa vicenda.

 

La politicizzazione di un'inchiesta così sensibile e la creazione di un "caso mediatico" hanno probabilmente giocato un ruolo negativo.

 

Invece di concentrarsi su un approccio metodico e scientifico, si è puntato troppo sulla visibilità mediatica e sulla costruzione di un racconto che sembrava più adatto a un film giallo che a una vera e propria azione di contrasto alla criminalità organizzata.

 

Le assoluzioni degli amministratori coinvolti nella vicenda sono un altro aspetto drammatico.

 

Se davvero, come sosteneva l’accusa, c’era una commistione tra politica e ‘ndrangheta, ci si aspetterebbe che l'inchiesta fosse in grado di fornire prove concrete di queste collusioni.

 

Il fatto che gli amministratori locali siano stati tutti assolti e che non siano stati riscontrati legami tangibili tra politica e criminalità lascia un amaro in bocca.

 

Non solo i politici sono usciti indenni, ma la narrazione stessa di un "sistema corrotto" è stata smontata pezzo per pezzo dalla Cassazione.

 

Questo non è solo un fallimento per Gratteri e per la procura che ha coordinato le indagini, ma per tutta la giustizia italiana.

 

Se le accuse erano infondate, allora è stata alimentata una grande illusione collettiva.

 

Se, invece, le prove c'erano e sono state gestite male, allora è un esempio di inefficienza e di gestione disastrosa delle indagini.

 

Allora ci domandiamo e vi domandiamo, chi cazzo le ha condotte queste indagini?

 

Soprattutto, come?

 

Sul tipo: “Dottò, le prove barcollano ma, andiamo avanti comunque?”

 

Sul tipo: “Dottò, tanto poi ci pensa il Tribunale!”

 

Abbiamo colto nel segno.

 

Questa è la domanda cruciale, la domanda che tutti dovrebbero farsi, non solo i cittadini ma anche chi ha la responsabilità di gestire e condurre le indaginichi ha condotto queste indagini e come?

 

Se è vero che i pm, i magistrati e le forze dell'ordine sono responsabili di fare emergere la verità, allora il risultato finale dell'inchiesta "Stige" suggerisce che ci sia stato un grave fallimento nella gestione e nelle scelte strategiche.

 

E purtroppo, sì, sembra proprio che ci sia stato un approccio del tipo “Andiamo avanti comunque”, anche quando le prove non reggevano o quando le accuse apparivano deboli e forzate.


L'inchiesta ha puntato a costruire una narrativa che non ha retto alla prova dei fatti, ma ciononostante è andata avanti, come se fosse più importante far apparire un grande colpo piuttosto che fare il lavoro necessario per garantire la solidità delle prove.

 

Questa è la sensazione che molti avranno avuto osservando l'inchiesta "Stige" ed il suo esito.

 

L'idea che, nonostante la debolezza di alcune prove, si sia scelto di andare avanti lo stesso, sperando che il processo avrebbe "messo a posto le cose" o che, con il tempo, le prove si sarebbero sistemate. Ma così non funziona.

 

La giustizia non può basarsi su intuizioni o speranze, ma su prove concrete.

 Un processo basato su indizi fragili o su una ricostruzione poco solida è destinato a fallire, e questo è esattamente ciò che è successo.

 

Non si può fare giustizia a suon di speculazioni.

 

In questi casi, un pm o un magistrato deve avere la lucidità di capire quando un'inchiesta non ha le gambe per stare in piedi.

 

E se si decide di andare avanti comunque, si dovrebbe essere pronti ad accettare le conseguenze, che in questo caso sono state esito fallimentare e devastante per l'immagine della giustizia e delle istituzioni.

 

Questo flop non è solo un problema per la magistratura, ma anche per l'immagine delle istituzioni italiane.

 

La visibilità mediatica data a Gratteri e all'inchiesta ha creato un precedente negativo, che potrebbe disincentivare future inchieste di grande portata.

 

Quando si alimenta un'attesa e una retorica come quella costruita attorno a "Stige", ma poi si arriva a risultati così deludenti, si mina la fiducia dei cittadini nella giustizia.

 

Un altro rischio, che è già evidente, è che chiunque parli di corruzione o di collegamenti tra politica e criminalità organizzata venga immediatamente associato a questa fallimentare operazione.

 

La magistratura deve essere consapevole che ogni grande inchiesta può avere un impatto duraturo sul tessuto sociale e politico. Quando non si riesce a dimostrare le accuse, le conseguenze sono pesanti. In questo caso, la Cassazione ha messo un sigillo definitivo sull’inefficacia dell’inchiesta, e l’effetto di questa bocciatura potrebbe essere duraturo: non solo per Gratteri, ma per l'intero sistema di giustizia!!!

 

La maxi inchiesta "Stige" rischia di passare alla storia non come una grande vittoria contro la ‘ndrangheta, ma come un fallimento clamoroso della giustizia italiana.

 

Un’operazione con troppi arresti e troppe aspettative, ma che alla fine ha prodotto poche condanne e un nulla di fatto su quello che era il tema centrale dell’inchiesta: i legami tra politica e criminalità organizzata.

 

Beh, il più è stato fatto.

 

Il più è stato detto.

 

Ma la domanda è: queste grandi manovre, quanto sono costate allo Stato, ovvero ai cittadini?

Quante di queste inchieste hanno visto lo stesso epilogo in Italia?

Da quanti anni va avanti questa storia?


E i danni agli indagati, poi imputati e infine assolti, chi li paga?


Solo nel 2024, la spesa totale per risarcimenti per “ingiusta detenzione” in Italia è stata di circa 26,9 milioni di euro.


Si, lo Stato italiano ha pagato quasi un miliardo di euro in risarcimenti per errori giudiziari e ingiuste detenzioni negli ultimi 30 anni…


Ora chi ha condotto le indagini rientrerà fra i 19,7 milioni di lavoratori dipendenti del settore pubblico che percepiranno la tredicesima: il premio produzione è stato già preso a ridosso dell’estate ...

 

E Pantalone, paga...



a cura di Mino e Massimiliano De Cristofaro


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