ALLARMI... ALLARMI... ALLARMI SIAM FASCISTI...
- oposservatoriopoli
- 4 giorni fa
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Eccoli i fascisti del nuovo millennio: non costruiscono idee, censurano le altre e lo chiamano progresso...
Quando il “nuovo comunismo” sogna il controllo e lo chiama progresso.
Non hanno più stivaloni, né manganelli.
E nemmeno camice nere.
Hanno tastiere, hashtag e tribunali morali.
Hanno anche dei buoni megafoni, sono pochi, ma fanno tanto rumore.
Il comunismo di oggi non assomiglia più a quello delle fabbriche, dei cortei e delle bandiere rosse.
È diventato una religione digitale, una burocrazia dell’anima, un sistema operativo del pensiero unico.
Non promette più pane e lavoro.
Promette reputazione e salvezza ideologica.
Il nuovo comunista non occupa solo le piazze: occupa le coscienze.
Le piazze le sfasciano solamente aizzando alla “resistenza” poveri disagiati, disadattati e indottrinati, che cadono nella trappola e diventano complici.
Non alza barricate: costruisce algoritmi morali.
Non brucia libri: li cancella.
È una mutazione genetica della stessa vecchia febbre: il bisogno di comandare anche sul pensiero altrui.
L’autoritarismo travestito da virtù.
Il comunismo di oggi non ti imprigiona.
Ti “educa”.
O almeno ci prova.
Non ti censura.
Ti “protegge”.
Non ti punisce.
Ti “corregge”.
È la dittatura con il sorriso, l’oppressione con la faccia pulita, il controllo con la parola inclusione sulla copertina.
Laddove il fascismo comandava con la forza, il progressismo autoritario comanda con la vergogna.
Se non ti adegui, non vai in galera.
Vai all’inferno sociale perché parte l’aggressione “social” da parte delle tribù affiliate che spalleggiano il nucleo.
E funziona pure meglio.
La “nuova polizia” non porta uniforme.
Porta opinioni.
Le parole sbagliate non ti mandano più davanti a un giudice.
Che poi, il giudice, di sicuro sarebbe dalla loro parte …
Ti mandano davanti al tribunale dell’indignazione permanente, ecco, questo sì.
Qui non ti processano per quello che fai… ma per quello che non dici come vogliono loro.
È il fascismo più elegante della storia: non sporca le mani, sporca le carriere.
Il paradosso è tragico.
Coloro che urlano “mai più fascismi” sono diventati i primi censori, i primi puritani, i primi archivisti del pensiero altrui, sono loro i fascisti 3.0.
I veri fascisti del terzo millennio...
Hanno creato il loro vocabolario autorizzato, le emozioni obbligatorie, le indignazioni programmate e i nemici utili.
E la chiamano “giustizia sociale”.
Ma quando un’ideologia decide cosa puoi dire, cosa puoi pensare, cosa devi approvare, cosa devi odiare... non sei in una società libera.
Sei in una riedizione aggiornata dell’autoritarismo.
Solo con “interfaccia” moderna.
Il comunismo che non salva nessuno: solo i pochi che vestono cachemire, che possiedono barche e ville di riflessione in quel di Capalbio.
La sinistra moderna non riduce le disuguaglianze.
Le ridisegna.
Non difende i deboli.
Li strumentalizza.
Non combatte il potere.
Ne diventa una nuova forma.
La differenza?
Questo potere non ammette di esserlo.
Si presenta come superiore moralmente.
E ogni potere che si sente moralmente superiore…è sempre il più pericoloso.
Uan mezza conclusione?
Il fascismo classico imponeva silenzio.
Il fascismo 3.0 pretende consenso interiore.
Il primo costruiva prigioni.
Il secondo costruisce coscienze sorvegliate.
E forse, tra le due forme di dominio, la più subdola è proprio quella che ti convince di essere libero in quanto ti allinea.
Il comunismo moderno non vuole liberare il mondo.
Vuole riscriverlo a sua immagine.
E quando un’ideologia vuole rifare l’uomo…
la storia ha già insegnato come finisce.
Sempre uguale, con una verità ufficiale e molti silenzi forzati.
Non ci credete?
Ok, facciamo nomi, cognomi e soprannomi!
Gli aggressori venivano “dall’altra parte”...
Per mesi, anni, il Nord Italia è stato raccontato come un western ideologico, fascisti ovunque, camicie nere sotto ogni portone, pericolo nero dietro ogni angolo.
Una sceneggiatura utile, funzionale, comoda.
Peccato che in troppi casi, chi picchiava non fosse nero.
Ma rosso.
Le aggressioni “misteriose”, i raid notturni, i pestaggi “politici” non arrivavano sempre dall’ultradestra come da copione.
In molti casi, l’autore aveva una tessera diversa, un lessico diverso, una bandiera opposta.
Ma guai a dirlo!
ZITTI TUTTI!
Bavaglio!
Quando l’aggressore sta “dalla parte giusta”, la notizia cambia tono, non è più “violenza politica” ma diventa “tensione”, poi “scontro” e infine “episodio isolato”.
Il vocabolario non è mai neutro. “Serve sempre qualcuno”.
L’antifascismo come alibi, in nome dell’antifascismo si è giustificato troppo.
Dalle spranghe ai silenzi.
Dalle minacce alla minimizzazione.
E la signora Albanese?
La Franceschina nostra, che dice?
Franceschina fa parte di una sinistra militante che predica inclusione e pratica intimidazione.
Dite di no?
Eppure noi sappiamo che l’Albanese sull’assalto alla Stampa ha detto: “Sia monito per i giornalisti”.
Sia di monito ai giornalisti sa di intimidazione.
Anzi, sa di minaccia.
Sa di rappresaglia politica sul modello anni ’70.
Partiamo dall’inizio, dall’assalto “squadrista” alla sede della Stampa.
Fascisti!
Il corteo, partito da via Nizza, cambia passo all’improvviso: non cammina più, corre.
Si infila in via Rosmini come un ariete, diretto verso la sede del giornale.
A quel punto è chiaro che i manifestanti hanno individuato il bersaglio.
Dalle prime file parte l’urlo: “Giornalista, ti ammazziamo!”.
Un coro che negli anni, nelle piazze più infuocate, si è sentito fin troppo spesso.
Una minaccia che ormai ci suona “tragicamente familiare”, familiare come il vero legame tra la sinistra e Askatasuna!!!
E si, Askatasuna, perché “decine” fra gli autori dell’assalto sono stati individuati e secondo quanto riferito dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, risultano essere attivisti del noto centro sociale Askatasuna.
Centro sociale con il quale sembra che la città di Torino abbia “stretto un accordo”.
Anzi, diciamola tutta e bene, il sindaco Stefano Lo Russo non solo lo ha stretto ma lo difende il patto di “collaborazione civica” con i “sovversivi” del centro sociale Askatasuna, fra i quali un minorenne, già responsabile dei tumulti al Liceo Einstein, anche quello dapprima accollato ai fascisti!!!
Ma perché l’assalto a La Stampa?
Semplice, l’assalto alla redazione torinese, spiegano gli investigatori, non è stato un episodio estemporaneo scoppiato nel caos del corteo pro Palestina. Era un’azione prevista, preparata, indirizzata…
A dimostrarlo sono gli appelli circolati sui social nelle ore precedenti, inviti espliciti a convergere contro la sede del quotidiano, indicata come “obiettivo” per la presunta responsabilità nell’arresto in un Cpr di Mohamed Sahir.
Dietro quel nome, in realtà, c’è Mohamed Shahin, imam della moschea Taiba di via Saluzzo, a Torino, trasferito in un centro per il rimpatrio e ora a rischio espulsione dopo aver definito “atto di resistenza” l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023.
Sempre secondo gli inquirenti, non una protesta degenerata, ma una spedizione punitiva annunciata ed ecco spuntare la relatrice dell’ONU Francesca Albanese che minaccia pubblicamente i giornalisti con la frase: “Sia monito per i giornalisti”.
Uno spettacolo di tale miseria morale non si era visto da anni, e infatti ha prodotto qualcosa di rarissimo: una condanna trasversale.
Destra e sinistra, per una volta, hanno parlato la stessa lingua.
Quella dell’indignazione.
Persino Andrea Scanzi - non esattamente un’anima tenera quando si tratta di prendere le distanze dal suo campo - si è scagliato contro la scena.
A ruota, il senatore dem Filippo Sensi ha liquidato la vicenda con una parola sola, che pesava come una sentenza sulla Albanese: «Orrore».
Poi è arrivato il colpo finale.
Carlo Calenda, senza giri di parole, ha dato il benservito politico all’Albanese con una frase che suonava come una pietra tombale: “La sinistra dovrà vergognarsi di lei.”
Eccoli i fascisti veri, quelli del terzo millennio, quelli 3.0, quelli subdoli.
Falsi, bugiardi e da sempre sovversivi.
Care Francesca Albanese, “le” Salis, Elly e compagnia cantando, quando perfino i “vostri” pubblicamente prendono le distanze, non siete più un incidente.
Siete un problema.
E quando l’intero arco politico smette di difendervi, una cosa è certa: non è più politica.
È imbarazzo nazionale.
Siete imbarazzo nazionale.
Siete imbarazzo internazionale.
Così come lo è il sindaco di Genova.
Vi è nuova la sfida di Silvia Salis a Genova?
Ma si, l’esperimento per "l’educazione sessuo-affettiva in quattro asili del Comune"
Qui si rischia l’ideologia gender, altro che esperimenti sociali.
Ci domandiamo, perchè fare queste lezioni di questo tipo a bambini così piccoli?
Quando una città decide di portare l’“educazione sessuo-affettiva” negli asili, non sta facendo pedagogia.
Sta facendo politica.
E pure in modo maldestro.
Perché a tre, quattro, cinque anni un bambino non ha bisogno di lezioni ideologiche camuffate da progresso.
Ha bisogno di giocare, di sentirsi al sicuro, di imparare parole semplici come amicizia, fiducia, rispetto.
Non concetti complessi calati dall’alto con la pretesa di “educare” ciò che ancora deve solo crescere.
Il problema non è l’affetto.
Il problema è l’agenda.
Quando si infilano programmi “formativi” su temi delicatissimi senza un dibattito serio con le famiglie, non è inclusione: è imposizione!
Ecco il fascismo 3.0 che ritorna.
Quando si decide cosa sia giusto insegnare ai figli degli altri senza chiederlo agli altri, non è progresso: è arroganza!
Fascisti!
Si può educare al rispetto senza occupare l’infanzia con temi che appartengono agli adulti.
Si può insegnare la gentilezza senza politicizzare il cuore dei bambini.
Si può parlare di rapporto con l’altro senza imporre cornici ideologiche.
E invece no: si accelera, si scavalca, si decide.
Come se la scuola fosse un laboratorio sociale.
Come se i bambini fossero una sperimentazione.
E a Bologna?
Stendiamo un velo pietoso sul Comune condotto dal Sindaco Matteo Lepore per passare direttamente all’Università diretta da Giovanni Molari, laddove i professori dell'ateneo hanno rifiutato di avviare un corso di laurea per alcuni ufficiali dell’Esercito italiano, temendo la “militarizzazione” della loro Università!
La loro università?
L’hanno comprata, forse?
Quando l’ideologia fascista 3.0 calpesta l’onore.
C’è un momento in cui una città smette di essere progressista e diventa ingrata.
Bologna, rifiutando una laurea militare, ha superato quella linea.
Qui non si sta “difendendo la pace”.
Qui si sta insultando una storia, una funzione, un sacrificio.
Una laurea militare non è un carro armato parcheggiato in aula.
È studio, disciplina, responsabilità, gerarchia, servizio allo Stato.
Tutte parole che, anziché spaventare, dovrebbero incutere rispetto.
E invece no, ovviamente dalla “scuderia del Pd” si preferisce fare politica con il simbolismo da salotto, come se respingere un’uniforme fosse un gesto eroico, come se il rifiuto fosse una medaglia civile.
Chi rifiuta la divisa in nome della “non violenza” somiglia a chi “sputa sulla protezione” mentre chiede sicurezza.
D’altronde, a proposito di sputi, se in Italia la Corte Costituzionale afferma che “sputare sui Poliziotti è un reato minore, una quisquiglia da archiviare…” cosa vogliamo aspettarci?
Ecco la nuova svastica, il nuovo fascio.
Hanno sostituito falce e martello con un manuale per pensare “giusto”, e il loro “pensare giusto” è una macchina di demolizione senza freni ne ragione: smantellare le tradizioni di una nazione, cancellare la sua religione e sostituirla con quella islamica, seminare paura e disagio sociale, alimentare povertà e tensione.
Una nazione invasa di immigrati clandestini, lasciati liberi di rubare, spacciare, violentare, tutto coperto dal caldo abbraccio del cappotto politico e della toga in rosso.
E la cosa più grottesca?
Ancora non si capisce perché lo facciano…
Eppure vivono tra noi...
a Cura di Mino e Fidi@s










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