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AL-MASRI: l'Italia, tra trattative oscure e ipocrisie luminose...

  • oposservatoriopoli
  • 7 nov
  • Tempo di lettura: 7 min

(Mentre Roma tace, il nome di Usāma al-Maṣrī Nağīm torna a circolare nei canali d’intelligence...)


Secondo fonti libiche vicine al governo di Tripoli, l’uomo - già noto al mondo per i suoi trascorsi jihadisti e legami con la rete Ansar al-Sharia - sarebbe stato oggetto di un accordo informale con i servizi italiani.

 

Tripoli avrebbe garantito un “arresto controllato”, utile a chiudere un fascicolo scomodo e a dare l’impressione di cooperazione antiterrorismo.

 

Ma il presunto arresto non c’è mai stato.

 

Al contrario: Nağīm sarebbe stato lasciato libero di muoversi, con la promessa non scritta che non avrebbe più toccato interessi italiani nel Mediterraneo.

 

Questa versione vi piace?

 

Una partita sporca, gestita sottobanco, come tante altre negli ultimi anni.

 

L’Italia, nel suo eterno gioco di equilibri con la Libia, finge di non sapere, pur di mantenere aperti i canali petroliferi e quelli migratori.

 

È la stessa logica che da anni spinge i nostri 007 a chiudere un occhio su certi dossier “strategici” in cambio di una fragile stabilità.

 

Questa versione vi piace di più?

 

Troppo da prima Repubblica?

 

I fatti che legano Italia e Libia nella Prima Repubblica (1946-1992) sono principalmente legati alla fine del colonialismo, alla gestione del dopoguerra e alle relazioni post-belliche.

 

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Libia divenne un territorio sotto l'amministrazione alleata.

 

Nel 1947, l'Italia rinunciò a tutti i suoi possedimenti coloniali, inclusa la Libia, ma la questione della sua sovranità rimase irrisolta. 

 

Visto che vi piace il “dietrologismo”, dopo l'indipendenza, la situazione cambiò radicalmente.

 

Nel 1970, il regime del colonnello Mu'ammar Gheddafi, che aveva preso il potere nel 1969 con un colpo di stato, decise di espellere gli italiani rimasti, confiscandone i beni e liquidando le proprietà.

 

Questo evento colpì profondamente i rapporti tra i due paesi, incrinando le relazioni politiche e commerciali.

 

Sia Aldo Moro che Giulio Andreotti, figure centrali della Democrazia Cristiana e della politica italiana durante la Prima Repubblica, hanno giocato ruoli chiave nello sviluppo delle complesse e spesso opache relazioni tra l'Italia e la Libia di Mu'ammar Gheddafi

 

Aldo Moro, in qualità di Presidente del Consiglio e successivamente come Ministro degli Esteri, fu l'artefice principale della politica italiana di apertura verso il mondo arabo e, specificamente, verso il regime di Gheddafi dopo il colpo di stato del 1969.

 

Gheddafi aveva inizialmente mostrato atteggiamenti fortemente anti-italiani, confiscando i beni degli italiani in Libia e procedendo alla loro espulsione nel 1970.

 

Moro gestì questa fase difficile, lavorando per “ristabilire e riformulare” le relazioni bilaterali, evitando misure ritorsive e puntando a compensazioni economiche.

 

A Moro è attribuito il cosiddetto "Lodo Moro", un presunto accordo segreto e informale con le organizzazioni palestinesi (tra cui il FPLP di George Habash e l'OLP di Arafat), che garantiva loro una sorta di immunità sul territorio italiano in cambio dell'esclusione dell'Italia dagli attentati terroristici internazionali che in quegli anni insanguinavano l'Europa.

 

Sebbene non fosse un accordo diretto con la Libia, la Libia di Gheddafi era un sostenitore chiave di queste stesse organizzazioni, e la politica estera di Moro creò un quadro più ampio di non belligeranza nel Mediterraneo che includeva anche Tripoli.

 

Un episodio emblematico fu nel 1986, quando, come Ministro degli Esteri, Andreotti informò il ministro degli esteri libico dell'imminente bombardamento americano su Tripoli, permettendo al regime di prepararsi (la Libia rispose lanciando missili in mare aperto vicino Lampedusa, senza causare danni).

 

Questo episodio sottolinea la volontà italiana di mantenere un rapporto privilegiato e di evitare un'escalation diretta con la Libia.

 

Forse, la CIA non la prese bene . . .

 

Moro fu ammazzato e sotto Andreotti, invece, la Libia rimase un partner commerciale e petrolifero strategico per l'Italia, anche quando il regime di Gheddafi era isolato a livello internazionale.

 

In sintesi, Moro e Andreotti furono i principali esponenti di una politica estera italiana che, in deroga alle posizioni atlantiste più rigide, perseguì una autonoma "ragion di Stato" nel Mediterraneo, basata su un mix di interessi economici, energetici e di sicurezza, che includeva accordi, anche informali o "segreti", con la Libia di Gheddafi.

 

Questo anche perché ritenevano Gheddafi l'unico baluardo ad impedire una eventuale invasione islamica.

 

Non esistono prove documentate o conferme ufficiali di specifici "accordi" diretti tra Giulio Andreotti e la CIA (Central Intelligence Agency) riguardanti la Libia, nel senso di intese formali e segrete per la gestione congiunta delle politiche, tuttavia, i rapporti tra l'Italia di Andreotti, la Libia di Gheddafi e gli Stati Uniti (e quindi i loro servizi segreti) erano notoriamente complessi e spesso in tensione, caratterizzati dall’autonomia Italiana contro le pressioni USA, dai “contrasti” sulla Libia stessa (documenti della CIA ‘declassificati’ mostrano che gli Stati Uniti esercitavano pressioni sull'Italia - e sugli altri paesi europei - affinché riducessero i legami commerciali e isolassero Gheddafi) ma, lo scambio d’informazioni fra Italia e Libia e gli interessi economici tra Italia e Libia - oggi come allora - rimangono, ancora oggi, fortemente strategici per l'Italia, sebbene il quadro politico libico resti complesso e instabile.

 

La relazione è storicamente incentrata sul settore energetico, ma si estende anche ad altri ambiti commerciali e infrastrutturali. 

 

Quindi?

 

Questi “interessi” Italo-Libici, credete siano sfumati?

 

La volete la macchinina?

 

La volete la libertà di spostarvi?

 

La Libia è costantemente uno dei principali (se non il primo) fornitori di petrolio greggio per l'Italia.

 

Nei primi mesi del 2025, ha rappresentato circa il 24% delle importazioni totali italiane di petrolio.

 

La volete la luce in giardino?

 

La volete casa addobbata con le lucine di Natale?

 

Gli impianti e le attività di ENI sono vitali per l'approvvigionamento energetico italiano e contribuiscono alla sicurezza energetica europea.

 

Volete i piedi al calduccio?

 

L'azienda energetica italiana ENI ha una presenza storica e dominante in Libia ed è il principale produttore internazionale di gas nel Paese.

 

Recentemente sono stati firmati importanti accordi, come quello del gennaio 2023 da 8 miliardi di dollari tra ENI e la National Oil Corporation (NOC) libica per lo sviluppo di giacimenti di gas, a conferma della volontà di rafforzare la partnership a lungo termine.

 

E ancora rompete i coglioni con Usāma al-Maṣrī Nağīm?

 

Secondo i dati del 2025 l'Italia si conferma il primo partner commerciale della Libia, sia come cliente che come fornitore.

 

E ancora rompete i coglioni con Usāma al-Maṣrī Nağīm?

 

Eppure, mentre con i terroristi si fanno patti, con i cittadini italiani si fanno sceneggiate.

 

Ed ecco il paradosso tutto italiano!!!

 

Basta guardare il caso Ilaria Salis.

 

Una sedicente militante “antifascista” co-fondatrice di un Centro Sociale di estrema sinistra imputata all’estero per violenze in un Paese sovrano - l’Ungheria - che pure rispetta i suoi codici, le sue leggi, le sue regole.

 

Eppure l’Italia l’ha accolta come una “martire”, spalancandole la porta di casa e offrendole una candidatura politica, come se fosse un’eroina dei diritti civili.

 

Qui tutti zitti?

 

Usāma al-Maṣrī Nağīm, invece, ha commesso crimini a casa sua.

 

Un estremista pericoloso che le autorità libiche dovevano consegnare, ma che forse è stato “coperto” per ragioni d’interesse.

 

Due storie diversissime, ma unite da un filo rosso: la doppia morale italiana!!!

 

Da una parte, lo Stato (che agli occhi della gente) “chiude gli occhi davanti a un potenziale terrorista” pur di difendere i propri rapporti con Tripoli.

 

Dall’altra, lo stesso Stato che apre le braccia a chi, fuori dai confini, ha scelto la via della violenza in nome di un attivismo distorto.

 

In entrambi i casi, a perdere è la credibilità dell’Italia.

 

Un Paese che predica legalità, ma tratta con chi la calpesta; che accoglie chi disprezza la legge altrui, ma non tutela più i propri confini morali.

 

E se nel primo caso, invece, non fosse così?

 

Se l’accordo Italia-Libia fosse stata una mossa geopolitica?

 

Se invece i servizi italiani fossero stati attori lucidi e strategici che hanno fatto bene la loro parte “con intelligenza”, pur in un contesto difficile come quello libico?

 

Niente clamore, nessun annuncio.

 

Solo una manovra precisa, costruita passo dopo passo dai servizi italiani, che negli ultimi mesi hanno lavorato sottotraccia per chiudere un dossier sensibile, si, proprio quello di Usāma al-Maṣrī Nağīm, ex figura di raccordo tra ambienti jihadisti nordafricani e gruppi di trafficanti lungo la costa libica.

 

Magari l’operazione si è conclusa con la riconsegna controllata dell’uomo alle autorità di Tripoli, sulla base di un’intesa bilaterale siglata tra apparati di sicurezza.

 

L’obiettivo era chiaro, garantire che Nağīm fosse neutralizzato senza innescare attriti diplomatici né rischiare fughe di notizie.

 

Possiamo facilmente immaginare che la Direzione dell’Intelligence e della Sicurezza (DIS) e l’AISE abbiano costruito il dossier in coordinamento con i libici, ottenendo la promessa formale che Nağīm sarebbe stato arrestato e sottoposto a sorveglianza permanente “a casa sua”.

 

Una vittoria enorme.

 

Per Roma, l’accordo rappresenta una vittoria di equilibrio e realismo, una soluzione che ha evitato uno scontro aperto con Tripoli e al tempo stesso ha permesso di chiudere una partita che rischiava di trascinarsi per anni.

 

Di conseguenza le critiche del popolino  bue e le critiche della sinistra al Governo Meloni scoppiano come una brutta bolla di sapone!

 

Gli apparati italiani, insomma, hanno fatto il loro dovere.

 

Hanno agito con discrezione, responsabilità nell’interesse del Paese, non della vetrina politica.

 

L’Italia si è mossa con lucidità, scegliendo la via della cooperazione e non quella del protagonismo.

 

E rieccolo il paradosso!

 

Mentre i servizi italiani chiudono con professionalità un caso esplosivo come quello di Nağīm, la scena pubblica continua a consumarsi su storie minori, come quella di Ilaria Salis, riportata in patria dopo aver violato le leggi di un altro Stato.

 

Ma lì, nessuno scandalo.

 

Vorremmo realizzare un “mini” dossier …

 

-         G8 di Genova (luglio 2001) - scontri e devastazioni.

 

-         Scontri in cortei pro-Palestina e tensioni con le forze dell’ordine (anni recenti)

 

-         Assalti a polizia e ferimenti durante cortei di antagonisti.

 

-         Uso di simboli e riferimenti alle Brigate Rosse e a iconografie estremiste.

 

-         Centri sociali e “black bloc”: protagonisti ricorrenti nelle spinte violente.

 

-         Uso di immigrati (clandestini) e maranza per commettere reati!

 

Negli ultimi mesi la fiammata pro-Palestina ha riaperto la stessa ferita, bandiere, caschi, molotov artigianali, e le solite accuse alla Polizia che, quando reagisce, viene dipinta come il male assoluto.

 

Questo bollettino di guerra (in)civile è parte dalla stagione dei no-global a quella dei cortei pro-Palestina, la sinistra di piazza più radicale ha spesso superato il confine tra protesta e violenza.


Vetrine sfasciate, auto incendiate, agenti feriti, simboli delle Brigate Rosse rispolverati come provocazione estetica, un brutto e maledetto copione che si ripete!

 

E ancora rompete i coglioni per quattro ragazzini che a Parma cantavano una canzone del ventennio?

 

In mezzo alla verità c’è un’Italia che troppo spesso dimentica dove finiscono i diritti e dove comincia la responsabilità.

 

Non più giusto o sbagliato, non più sacro e profano, non più angeli e demoni, ora c’è solo destra e sinistra, due mondi opposti: da una parte chi lavora nel silenzio per la sicurezza nazionale; dall’altra chi trasforma l’illegalità in una battaglia di bandiera.

 

Addormiteve...fate i bravi...



a cura di Mino e Fidi@s

L'ex capo della polizia giudiziaria di Tripoli, Osama Njeem Elamsry detto Almasri
L'ex capo della polizia giudiziaria di Tripoli, Osama Njeem Elamsry detto Almasri


 
 
 

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