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BANDECCHI FA PAURA: perché fa sempre quello che dice...

  • oposservatoriopoli
  • 15 ott
  • Tempo di lettura: 8 min

(nel bene e nel male...)


In un’Italia dove la forma conta più della sostanza, l’unico scandalo è chi agisce davvero.


E quando un imprenditore si mette al servizio del bene comune, il sistema va in tilt.

 

Non serve essere simpatici per essere giusti.

 

Stefano Bandecchi divide, provoca, spiazza - ma agisce!

 

Mentre gli altri discutono, lui costruisce.

 

L’uomo che non conosce mezze misure ora mette mano al progetto più ambizioso di tutti, un nuovo ospedale, in quel di Terni.

 

Perché tra il rumore delle polemiche, contano solo i fatti.

 

Ruvido, diretto, spesso sopra le righe. Troppo spesso.

 

Ma sincero.

 

Stefano Bandecchi non è un politico da manuale - e forse è proprio questo il suo punto di forza, ma anche il suo tallone di Achille.

 

Mentre molti promettono, lui prova a realizzare.

Nello specifico, un ospedale nuovo, moderno, concreto.

 

Perché dietro la scorza dura, c’è la volontà di lasciare qualcosa che resti.

 

Stefano Bandecchi non chiede di essere capito, chiede solo di essere giudicato dai fatti.

 

Può sembrare burbero, grezzo, a volte eccessivo - ma è autentico.

 

Ed oggi, in un tempo di parole vuote, è uno che costruisce davvero, un ospedale, un’idea, una speranza per molti utenti in un Italia satura di chiacchiere ma povera di aiuti veri.

 

E noi lo sappiamo bene, nel periodo 2010-2020, quindi dieci anni, la Sanità pubblica nazionale ha visto la chiusura di oltre 100 ospedali (certi) e la perdita di circa 37.000 posti letto.

 

Questi ‘tagli’ hanno riguardato principalmente strutture pubbliche, con un conseguente aumento della componente privata nel sistema sanitario.

 

E se c’è chi investe di suo nella Sanità, qual è il problema?

 

L’invidia?

 

Oppure il patrimonio spirituale all’italiana per il quale, se sei un imprenditore di successo sei sempre un ladro?

 

Che se sei un imprenditore vincente, vuol dire che fai gli impicci?

 

E allora chi è dipendente?

 

Malattie varie, 104 a pioggia, permessi legge, maternità infinite, cause che non hanno né capo né coda contro il proprio datore di lavoro …

 

E i sindacati nazionali dove sono?

 

Ma sì, proprio quei sindacati che “blocchiamo tutto”, che invece di immergersi in questi problemi s’interessano della Palestina.

 

Durante i governi di centrosinistra sono stati effettuati significativi tagli ai fondi destinati alla Sanità come ad esempio, nel triennio 2015-2017, il Governo Renzi ha ridotto di 16,6 miliardi di euro i finanziamenti previsti per il Servizio Sanitario Nazionale (SSN).

 

E Bandecchi è il problema?

 

È il suo progetto sanitario il problema?

 

Perché ci vuole guadagnare?

 

Questo è il problema?

 

E ripetiamolo, perché con i duri d’orecchie i numeri lo dicono meglio di qualunque opinione scritta.


Tra il 2010 e il 2020, oltre cento ospedali pubblici hanno chiuso i battenti.


Trentasettemila posti letto in meno!

 

Indovinate cosa direbbe Chicco...

 

Un disastro silenzioso, mascherato da “razionalizzazione”, da operazione sociale necessaria.


Il risultato?

 

Liste d’attesa infinite, reparti accorpati, pronto soccorso al collasso, medici allo stremo e cittadini costretti a rivolgersi al privato.

 

Eppure, quando un imprenditore decide di investire risorse proprie per creare una struttura sanitaria ecco che il Paese dalle “mani pulite” si divide.


Perché?


Forse per quella vecchia malattia italiana dell’invidia sociale?

 

O perché c’è quella strana forma di giustizia nazionale per la quale nessuno è innocente?

 

Probabilmente scriviamo così perché, ad esempio, ci ricordiamo che il magistrato Antonio Di Pietro, ex PM di “Mani Pulite”, in più occasioni espresse frasi di questo tenore: “In Italia, se non sei mai stato indagato, è solo perché non ti hanno ancora preso.”

 

Successivamente però, lo stesso Di Pietro fu oggetto di indagini e polemiche, in particolare nel 1995, per presunti rimborsi e tangenti, poi archiviati o conclusi …senza condanna!

 

Ma sì che ora ve lo ricordate, quel retaggio infame tutto italiano secondo cui chi ha successo “qualcosa deve aver combinato”.


Se un imprenditore guadagna è “un furbo”.


Se un politico parla bene è “uno che ci marcia”.


Ma se uno come Bandecchi - col suo linguaggio diretto, con la sua irruenza, più da officina che da salotto - decide di fare, allora diventa un problema per molti.

 

Siamo il Paese dove chi costruisce viene criticato da chi non ha mai costruito nulla.


Eccola l’Italia del sospetto permanente …

 

L’Italia è quel Paese dove si confonde la rudezza con l’arroganza e l’efficacia con la propaganda.


Dove si preferisce una inutile conferenza stampa di tre ore a un cantiere aperto, e dove la sostanza è sempre sacrificata sull’altare della forma.

 

E allora ricordiamocelo, Piercamillo Davigo.


Uno che arrivò a dire: “Essere assolto non vuol dire essere innocente, ma che non sono state trovate prove a carico.”

 

Fermiamoci un attimo.


Ci rendiamo conto della follia contenuta in queste parole, pronunciate da un magistrato della Repubblica?


Per Di Pietro, non esistono innocenti: ci sono solo colpevoli che non sono stati “presi”.


Per Davigo, anche una volta presi, giudicati e assolti, non si è innocenti - perché, semplicemente, le prove non si sono trovate.

 

E questi erano due simboli della “giustizia morale” italiana.


Due uomini che hanno incarnato, agli occhi di molti, il volto duro e puro della magistratura.


Davigo, consigliere della Cassazione, poi presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, protagonista del pool di Mani Pulite.


Eppure, anche lui ha conosciuto il banco degli imputati: indagato per rivelazione di segreto d’ufficio, condannato in primo e secondo grado a un anno e tre mesi per la vicenda dei verbali segreti della cosiddetta Loggia Ungheria.


La Cassazione ha poi confermato parte della condanna, rendendola definitiva per la divulgazione dei documenti riservati.


E allora sì, Davigo aveva ragione: non esistono innocenti.

 

Nemmeno lui.

 

E Di Pietro?


Altro simbolo di un’Italia che si credeva 'moralmente superiore'.


Il magistrato delle manette facili, il giustiziere mediatico, il liberale cattolico che finì per essere condannato a risarcire oltre due milioni di euro per la gestione dei rimborsi elettorali.


Era il 6 dicembre 1994 quando lasciò la magistratura “per non essere tirato per la giacca”.


Ma la giacca, nel frattempo, era già lacerata da troppe ambizioni e non solo ...

 

Ne abbiamo citati solo due, ma bastano.


Due esempi di quella magistratura che ha giudicato, marchiato, distrutto reputazioni con il tono del pulpito e la certezza della fede.


Due uomini dai quali, per una “giustizia giusta”, bisognerebbe tornare indietro e rileggere ogni fascicolo trattato - per capire se in quelle sentenze pesava il diritto o la convinzione personale.

 

E oggi, dentro la stessa rete ideologica, cade anche Stefano Bandecchi.


Perché Bandecchi, in questa Italia, non può essere innocente per definizione.


Non può esserlo perché è un imprenditore, perché ha successo, perché ha carattere.

 

Perché ha le palle!


Perché parla troppo, perché non si piega, perché costruisce.


E allora, nella logica del patriarcato giudiziario, qualcosa deve aver fatto.


Non si sa cosa, ma dev’esserci…


E se un giorno dovesse essere assolto, non sarà innocente comunque - solo “non trovato colpevole”.

 

Ma siamo seri?


È possibile vivere in un Paese dove chi amministra la giustizia parte dal presupposto che la colpa sia universale, e l’innocenza solo una dimenticanza procedurale?


In un’Italia così, la giustizia non è più un valore: è un riflesso condizionato.


E chi, come Bandecchi, agisce invece di giudicare, costruisce invece di sospettare, diventa un’anomalia da correggere.

 

Eppure, tra chi urla moralità e chi stende cemento, è il secondo che cambia le cose.

 

Come alla “cara” Elly che si avvale della consulenza di una stilista e armocromista per curare la sua disastrosa immagine pubblica a 300 euro all'ora, alla quale abbiamo suggerito di comprare le prestazioni professionali di un consulente strategico per consigliarle contenuti, ci permettiamo di suggerire all’imprenditore di “affittare” più di uno stratega per creare quell’area di comfort nella comunicazione nella quale diventerebbe insuperabile quanto imbattibile.

 

Le origini di Stefano Bandecchi sono quelle di un uomo del popolo, uno che la vita se l’è costruita con il lavoro, l’intelligenza e la tenacia.


Bandecchi è uno che si è sporcato le mani di fatica, non di altro.

 

La sua storia è quella di chi non dorme la notte per progettare e non si riposa di giorno per realizzare.


Un uomo di sport e d’azione che non teme il passato e non si illude del futuro, perché cammina a braccetto con il presente, passo dopo passo, con la concretezza di chi non aspetta il momento giusto: lo crea!

 

Un paracadutista non teme la salita, né il peso sulle spalle, né la solitudine del cammino.


L’unica paura, forse, è quella di non essere compreso nella marcia.


Ma anche questo, per chi è abituato a stare avanti al plotone, fa parte della missione.

 

L’Italia è diventata il Paese dei balocchi, ma non perché manchino le regole - mancano gli uomini di una volta.


Non ci sono più gli imprenditori veri, quelli che rischiavano in prima persona, né gli ideali autentici che davano un senso al lavoro e alla fatica.


I sindacati, ormai, svendono ciò che dovrebbero difendere, e la politica ha ribaltato ogni logica: oggi gli operai di Melfi votano a destra e i ricchi annoiati votano a sinistra.


Un paradosso tutto italiano, dove chi lavora viene accusato e chi predica viene applaudito.

 

Risvoltini e monopattino anziché palle e scarpe buone per andare verso il futuro, il generale Vannacci, altro incompreso ma detestato per ideologia, tempo fa disse: “Davanti alla minaccia russa chi mandiamo? In Toscana di recente c'è stato il Gay Pride: mandiamo questi signori al fronte?”.

 

Beh sarà stata forte come espressione ma la realtà non è mai compiacente.

 

Il medico pietoso fa le piaghe puzzolenti…

 

E allora diciamolo chiaramente.

 

Ci guardiamo intorno e non vediamo nessuno che abbia ancora la voglia, il coraggio e la rabbia di fare.


Gli imprenditori “alla Vacchi” ballano sui social e predicano leggerezza, mentre il Paese affonda nella burocrazia e nell’indifferenza, loro ballano su TikTok e prendono like.


I grandi ricchi italiani tengono stretto il loro denaro, protetto da fondi, consulenti e silenzi, se ne fregano di fare …


Non si espongono, non rischiano, non restituiscono nulla.


Vivono chiusi nei loro palazzi di vetro, lontani anni luce dal popolo che li guarda con ammirazione o rancore, ma sempre dal basso.

 

Ma nessuno li critica …

 

E poi c’è lui, e si, c’è Stefano Bandecchi.


Che non parla di “progetti futuri” ma di cantieri aperti.


Che non si nasconde dietro le parole ma le traduce in azioni.


Che arriva a dire: “Mi dimetto se serve, basta che mi autorizziate a costruire l’ospedale.”


E qui, anziché applaudirlo, scoppia lo scandalo.

 

Ma siamo impazziti?


Abbiamo davvero perso la misura delle cose?


Nel Paese dei rinvii e dei tavoli tecnici, un uomo disposto a mettere la faccia, la propria carica politica sul tavolo pur di fare qualcosa di concreto dovrebbe essere un esempio, non un bersaglio.

 

E invece no.


Un uomo che si danna e si mette in gioco per  costruire un ospedale - per convinzione e poi per tornaconto - merita rispetto, non diffidenza.

 

Stefano Bandecchi non è perfetto, non è levigato, non è “piacione”.


Ma è vero.

 

Albert Einstein disse: “Non cercare di diventare una persona di successo, ma piuttosto una persona di valore. Ai nostri giorni è considerato di successo chi ottiene dalla vita più di quanto dà. Ma una persona di valore dà più di quanto riceve” . 

 

E in un’Italia dove la verità è diventata (da sempre) un rischio, uno che fa invece di fingere è già una rivoluzione!

 

E allora se questa è una rivoluzione e allora... che cazzo...che lo sia … 


a cura di Mino



(image dal web - ternitoday)

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